La figura muliebre, con indosso un peplo in lana (perciò detta peplofora) è stante sulla gamba sinistra, con la destra che emerge con il ginocchio sotto la veste, interrompendone la rigida verticalità. Le braccia, di restauro, sono arbitrariamente disposte lungo i fianchi; tuttavia, è probabile che una o entrambe fossero portate in avanti, in atto di offerta. La peplofora Borghese, del tipo Copenaghen – dall’esemplare eponimo conservato alla Ny Carlsberg Glyptotek – è una delle numerose repliche note che testimoniano l’ampia fortuna incontrata dal tipo iconografico presso le botteghe scultoree di età romana, soprattutto nella prima età giulio-claudia e successivamente in età adrianea. La scultura è forse identificabile con la statua di “sacerdotessa” dissotterrata nel 1827, in corrispondenza del tinello e dei fienili di Grotta Pallotta, presso villa Pinciana.
La statua può forse essere riconosciuta nella “sacerdotessa” menzionata in una lettera del 27 giugno 1827 di Evasio Gozzani al Principe Camillo, dissotterrata in corrispondenza del tinello e dei fienili di Grotta Pallotta. Il tinello è ancora identificabile nell’edificio ovale ai margini di via di villa Pinciana; nella stessa area emersero tre frammenti di fregio con imprese daciche, oggi nel portico. Nello stesso anno la scultura venne affidata a Francesco Massimiliano Laboureur per il restauro e successivamente esposta nella sala VII, nella sua attuale collocazione. Ancora nell’inventario Fidecomissario del 1833 la scultura è descritta come “sacerdotessa di Iside”.
La statua poggia sulla gamba sinistra, mentre la destra è flessa e avanzata; veste un peplo dorico (perciò detta peplophoros) chiuso al lato e sulle spalle e fermato al di sopra dell’anca da una cintura: il peplo scende liscio sul petto e sul dorso, mentre appena visibili, sotto il bordo liscio dell’apoptygma (la ricaduta del peplo), sono le piccole pieghe del kolpos (rimbocco) determinate dalla cintura. Nella parte inferiore del corpo il drappeggio si complica in pieghe dai dorsi spessi, che rendono il senso della pesantezza della stoffa, parallele tra loro e rigide come le scanalature di una colonna dorica; la rigida verticalità è interrotta dalla sagoma della gamba destra che emerge con il ginocchio sotto la veste. Poco ci rimane delle braccia antiche, né possiamo stabilire con esattezza la loro posizione, tuttavia è probabile che una o entrambe fossero portate in avanti, nel gesto di offerente. Notevoli sono le influenze ionico-attiche nella morbidezza della stoffa sulla gamba libera e nella testa, lavorata separatamente, in cui il modellato del volto, l’ovale e la capigliatura rimandano all’ambiente attico.
La ponderazione della nostra peplophoros caratterizza anche il tipo Copenaghen, dall’esemplare eponimo acefalo conservato alla Ny Carlsberg Glyptotek (inv. 433) e noto da poche repliche, come quella proveniente da Rione Terra (Baia, Castello Aragonese inv. 292863). È possibile, come è stato ipotizzato, che questo tipo fosse esposto in coppia con quello, di ponderazione opposta, denominato Candia-Ludovisi (sul tipo, Tölle-Kastenbein 1986, pp. 15-32), replica di un’opera greca di età classica, come comproverebbe il rinvenimento di due repliche presso gli Horti Sallustiani a Roma, da cui proveniva un terzo esemplare, oggi a Boston. Il rinvenimento di peplophoroi in gruppo è attestato, a titolo di esempio, dalle due sculture provenienti dall’area di Castel S. Angelo, oggi al Museo Nazionale Romano (Paribeni 1979, nn. 34-35, pp. 37-38), dalle quattro provenienti dal complesso augusteo di Rione Terra a Pozzuoli (Valeri 2005, pp. 68-77)e delle cinque peplophoroi di bronzo di fattura neoattica provenienti dalla villa dei Papiri di Ercolano (Mattusch 2005, pp. 195-215).
Le numerose repliche note testimoniano l’ampia fortuna che il tipo iconografico incontrò presso le botteghe scultoree di età romana, soprattutto nella prima età giulio-claudia, in cui possiamo inserire la statua Borghese, e successivamente in età adrianea, quando si recuperarono i modelli attici dello stile tardo-severo.
Jessica Clementi