La statua femminile seminuda ritrae Venere, la dea dell’amore, in una delle numerose varianti tardo-ellenistiche ampiamente diffuse in età romana. La figura è stante sulla gamba sinistra; la destra è leggermente flessa in avanti. Il busto è nudo e la parte inferiore del corpo è avvolta in un ampio e lungo panneggio, stretto nella mano sinistra e portato intorno ai fianchi, generando un netto contrasto fra le forme morbide e la cornice chiaroscurale del tessuto. La testa, moderna, replica una acconciatura pertinente, con i riccioli che scendono sulle spalle. È forse identificabile con la Venere Marina di dimensioni minori al naturale descritta nella guida del Visconti del 1796 sulle cornici delle finestre piccole del Portico; restaurata e integrata successivamente al restauro ottocentesco, la scultura venne collocata dapprima in sala IV. Il tipo al quale fa riferimento è quello dell’Afrodite Landolina o Callipige di Siracusa, così chiamata dal nome del suo scopritore, l’archeologo Saverio Landolina Nava (Catania 1743-Siracusa 1814).
La statua, minore dal vero, rappresenta Venere al bagno che con il busto leggermente reclinato in avanti si copre con la mano destra il seno, ruotando elegantemente la testa, e con la sinistra regge un ampio panneggio calato sui fianchi, che si apre teatralmente gonfiato dal vento, rivelando le gambe. La sinistra è stante, la destra è flessa. La testa, china con lo sguardo rivolto verso il basso, è moderna, ma la capigliatura con scriminatura centrale e due riccioli che scendono sulle spalle riprende schemi iconografici tipici delle immagini di Afrodite di IV secolo a.C.
È forse possibile identificarvi la Venere Marina di dimensioni minori al naturale descritta nella guida del Visconti e Lamberti del 1796, disposta sulle cornici delle finestre piccole del Portico insieme ad altre sette statue, poiché assimilata, nella descrizione, alla Venere di dimensioni maggiori venduta dal Principe Camillo nel 1807 al Louvre. L’assenza del delfino nella statua in esame, posto invece a destra in quella descritta nella guida, è giustificabile con modifiche successive alle operazioni di restauro e integrazione cui la statua fu sottoposta nel XIX sec., che interessarono il plinto, i piedi e parte del panneggio. Esposta dapprima in sala IV (AAV, Archivio Borghese, b. 348), nell’Inventario del 9 maggio 1832 risulta collocata in sala VII (AAV, Archivio Borghese, b. 457), dove è attualmente esposta.
La figura rientra nella linea iconografica che dall’Afrodite Pudica, derivante alla lontana dalla Cnidia prassitelica e nota attraverso le rielaborazioni Medici, Dresda-Capitolina, Afrodite della Troade. Nello specifico, il tipo statuario cui appartiene la replica Borghese è quello della Pudica semipanneggiata, nel quale confluiscono numerosi tipi, varianti e rielaborazioni per i quali è stata messa in evidenza la difficoltà di risalire puntualmente a un determinato archetipo, vista l’estrema diffusione del soggetto in tarda età ellenistica e in età imperiale.
In questo caso, il tipo si distingue per il contrasto fra le forme morbide della parte superiore del corpo, liscia e nuda e la cornice chiaroscurale del mantello, fitto di increspature e pieghe,con un richiamo alle tarde elaborazioni dell’Afrodite di Rodi (Delivorrias et alii 1984, pp. 82-83, nn. 736-741) e dell’Afrodite Landolina o Callipige di Siracusa (Giuliano 1953; Delivorrias et alii 1984, pp. 83, nn. 743-747; Schmidt 1997, p. 203, nn. 93-95), così chiamata dal nome del suo scopritore, l’archeologo Saverio Landolina Nava (Catania 1743-Siracusa 1814): invenzione iconografica del tardo ellenismo, posta in relazione con una statua di culto ellenistica dal santuario siracusano di Aphrodite Kallipyge, riconosciuta in un aneddoto riportato da Ateneo (XII 554). L’archetipo è, sebbene non unanimemente, ricondotto all’ambiente microasiatico della prima o della seconda metà del II sec. a. C.
Il tipo è tramandato in diverse repliche e varianti di epoca romana, come la statua di Venere oggi al Louvre (inv. MA 376, 379) già nella Collezione Borghese, venduta dal Principe Camillo nel 1807 (Petrucci, Fabréga-Dubert, Martinez 2011). Particolarmente amato per la decorazione di fontane, giardini e ninfei, fu poi ripreso per alcune statue di Ninfe con conchiglia, come gli esemplari Borghese esposti nel portico (CLXX) e in sala VI (inv. CIXC).
Jessica Clementi