Il bronzo raffigura un giovane dalle forme piene e infantili. Nel volto le guance sono paffute, gli occhi di forma obliqua con iride incisa e le labbra piccole e carnose. Dei corti e mossi riccioli incorniciano la fronte lasciando scoperta parte delle orecchie. La figura è coperta soltanto da un mantello adagiato sul petto, fermato da una fibula sulla spalla destra e trattenuto sul fianco sinistro dalla mano. Nella mano destra, piegata, sorregge un globo, di restauro. Ai piedi indossa elaborati calzari identificabili probabilmente nei mullei.
Proveniente dalla collezione Della Porta, acquistata dalla famiglia Borghese nel 1609, l’opera si ritrova nel 1650 nella Palazzina Pinciana, nella sala XV al Primo Piano. Successivamente subisce numerosi spostamenti ed è testimoniata nella sua attuale collocazione, sala XX, nel 1976.
Identificata dagli elenchi della collezione Della Porta come la raffigurazione dell’imperatore Geta, il figlio di Settimio Severo fatto uccidere dal fratello Caracalla, è in seguito ritenuta dalla critica moderna il ritratto di un imperatore di epoca Antonina. Il Fittschen avanza l’ipotesi, sostenuta dal Moreno, che si tratti della raffigurazione di Marco Galerio Aurelio Antonino, figlio di Antonino Pio e Faustina maggiore, probabilmente divinizzato dopo la sua prematura scomparsa.
Proveniente dalla collezione della Porta, acquistata nel 1609 (de Lachenal 1982, pp. 60, 91 (Appendice Va, n. 397), p. 94 (Appendice Vb, n. 360), p. 95 (Appendice Vc, n. 92) per la Collezione Borghese; nella Palazzina Borghese è citata per la prima volta dal Manilli, nel 1650, all’interno della sala XV, al Primo Piano (p. 96); successivamente dal Nibby nella sala III, nel 1832 e in quella IV nel 1841 (p. 89; p. 920, n. 32). Il Venturi e il Giusti la registrano nella sala II al Primo Piano (1893, p. 71; 1919, p. 37). Nel 1976, infine, è posta al centro della sala XX, dove è visibile tuttora (Moreno 1975-1976, p. 135, tav. XXXII, fig. 28). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 48, n. 99. Acquisto dello Stato, 1902.
Il bronzo proviene dalla collezione Della Porta, acquistata nel 1609 dalla famiglia Borghese. Il primo elenco che accompagna la vendita lo ricorda come “un Imperatore di metallo cioè Getto alt. p. 4 ¾ con sua base e piedistallo sotto triangolata e intagliata alt. p. 5 ¾” (de Lachenal 1982, pp. 60, 91 (Appendice Va, n. 397), p. 94 (Appendice Vb, n. 360), p. 95 (Appendice Vc, n. 92). Il Moreno avanza l’ipotesi che l’identificazione con Geta sia avvenuta durante la trascrizione di tale elenco, nel quale, secondo l’autore, la parola, indicata con la lettera maiuscola, intendeva il procedimento di fusione a cera persa del metallo e non il nome dell’imperatore, come erroneamente riportato nei successivi documenti (Moreno, Sforzini 1987, pp. 342, 345). Il Graeven, che nel 1893 pubblica una lista di “anticaglie et statue di marmo in casa delli eredi delo cavaliere della Porta”, redatta nel 1573 per una vendita, poi non verificatasi, al duca di Ferrara e conservata nel codice Barberiniano (XXXIX, 72), ipotizza si possa trattare della raffigurazione dell’imperatore Galba, essendo in questo punto deteriorato il documento dove si conservano per certe solo la lettera “G” e la lettera finale “a” (p. 245, n. 43).
All’interno della Palazzina la scultura subisce numerosi spostamenti. Nel 1650 il Manilli la menziona al Primo Piano, nella stanza “di Diogene”, l’attuale sala XV: “Statuetta nuda di bronzo, d’un Augusto giovinetto, co’l Mondo in mano” (p. 96). Il Montelatici ne conferma la collocazione, e la interpreta, invece, come “Paride giovinetto, col pomo della bellezza in mano” (p. 272). Il Nibby la cita nel 1832, al Piano Terra, nella sala III: “giovane imperadore clamidato tenente il globo, appartenente al III secolo della era volgare” e successivamente, nel 1841, nella sala IV individuandola come Geta (p. 89; p. 920, n. 32). Il Venturi e il Giusti la registrano nella sala II al Primo Piano (1893, p. 71; 1919, p. 37). Nel 1976, infine, è posta al centro della sala XX, dove è visibile tuttora (Moreno 1975-1976, p. 135, tav. XXXII, fig. 28).
Nel 1882 l’opera è trafugata e prontamente ritrovata, anche se in pessime condizioni “ridotta in sei pezzi, mancante del piedistallo e del prepuzio […] di un piede intero e della metà dell’altro”. Il piede mancante è ritrovato successivamente e la statua ricomposta (Arch. Borghese 347, n. 21 1882, 11 marzo: Moreno, Viacava 2003, pp. 267-269, n. 259).
Su una piccola base rotonda in marmo bianco è raffigurato un fanciullo di giovane età, dalle forme piene e infantili. Il corpo è nudo a eccezione del mantello, adagiato sul petto e fermato con una fibula circolare sulla spalla destra, che, scendendo posteriormente lungo la schiena, è trattenuto sul fianco sinistro dalla mano. La figura è stante e poggia il peso del corpo sulla gamba destra mentre la sinistra è leggermente flessa e scartata di lato. Il braccio destro è scostato dal corpo e flesso, e sorregge nella mano una sfera, quello sinistro è disteso lungo il corpo. Ai piedi indossa i mullei, alti stivaletti con un elaborato disegno sul dorso, fermati al polpaccio da una fodera conformata a pelle ferina, pendente dal bordo superiore. L’allacciatura frontale del calzare è costituita da una protome ferina, indirizzata verso il basso. Calzari analoghi si ritrovano ai piedi di una statua di Bacco in un gruppo scultoreo conservato al Museo degli Uffizi (inv. 1914, n. 246).
Nel bronzetto Borghese il capo, volto leggermente verso destra, mostra un'espressione assorta. Le gote sono paffute, gli occhi di taglio obliquo con palpebre sottili e la bocca ha labbra piccole e carnose. Le iridi sono sottolineate da un’incisione circolare. I capelli sono formati da corti riccioli scomposti che incorniciano il volto, coprendo parte delle orecchie e giungendo all’altezza del collo. L’individuazione data durante la vendita secentesca come Geta, il giovane imperatore figlio di Settimio Severo fatto giustiziare da suo fratello Caracalla nel 211 d.C., appare superata dalla critica moderna. Secondo il Lippold, che sottolinea le numerose integrazioni apportate e ritiene troppo grande la dimensione della testa, la scultura è da inquadrare nella seconda metà del II secolo d.C. (1925, p. 20, n. 2783). Il Fittschen, nel suo studio sui ritratti di epoca antonina, individua un tipo denominato G, di cui ritiene che il principale modello sia il bronzo Borghese, nel quale riconosce, seppure in via ipotetica, il ritratto di Marco Garelio Aurelio Antonino, figlio di Antonino Pio e Faustina maggiore (1999, p. 50, n. G3). Il Moreno riscontra un’analogia con un torso di un fanciullo con attributi dionisiaci, conservato nel palazzo Doria Pamphili, e ipotizza che il bronzetto Borghese possa raffigurare la dedica postuma da parte dell’imperatore Antonino Pio al figlio precocemente scomparso, divinizzato come Dioniso. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dalla caratterizzazione ferina dei calzari che simboleggerebbe un richiamo alla nebride presente nella replica Pamphili (Moreno, Viacava 2003, pp. 267-269, n. 259). Quanto alla datazione appare verisimile confermare l’inquadramento cronologico proposto dal Fittschen in epoca antonina.
Giulia Ciccarello