La figura muliebre, variante della cosiddetta “Piccola Ercolanese”, tipo iconografico derivante da una statua rinvenuta nel teatro di Ercolano, rappresenta una matrona romana vestita di una lunga tunica e avvolta da un mantello, sostenuto con il braccio destro piegato al petto. Il tipo fu particolarmente apprezzato nel mondo romano, quale perfetta sintesi tra il classicismo delle forme e i valori morali di onore, decoro e pudore espressi dalla postura castigata e dall’ordinata disposizione del panneggio, tanto nell’arte sepolcrale quanto in quella onoraria.
In questo caso la testa, non pertinente, raffigura una giovane donna dal volto allungato e zigomi sporgenti, con occhi grandi e iridi rese plasticamente da un foro di trapano. Lo sguardo, rivolto verso l’alto, esclude lo spettatore, conferendo un’espressione ferma e distaccata; la bocca, piccola e ben disegnata, è chiusa. I capelli, appena ondulati, sono divisi al centro da una scriminatura e scendono sul collo coprendo le orecchie, raccogliendosi sulla nuca in una crocchia bassa e appiattita, replicando una capigliatura in voga nella media età severiana, fra secondo e terzo decennio del III sec
Di ignota provenienza, la statua è menzionata per la prima volta nella guida del Nibby del 1832, che la descrive come “ignota giovane matrona” fra le sculture esposte nella camera del Sileno, corrispondente all’attuale sala VIII.
La scultura muliebre raffigura una matrona romana secondo una variante della cosiddetta “Piccola Ercolanese”. Stante sulla gamba sinistra e con la destra leggermente flessa e avanzata, la matrona è vestita di una lunga tunica di cui è visibile la parte inferiore, caratterizzata da pieghe profonde, ed è avvolta da un mantello, sostenuto con il braccio destro piegato al petto sino alla spalla sinistra, mentre l’avambraccio sinistro è disteso in avanti, con la mano serrata intorno a un lembo del mantello. Il tipo della “Piccola Ercolanese”, ampiamente utilizzato a partire dall’età ellenistica per statue ritratto con destinazione sepolcrale e onoraria e noto da oltre 147 repliche (da ultimo Daehner 2007; Alexandridis 2010, 263–275 fig. 10, 4; Dillon 2010, 82–86; Trimble 2017, 335–337) è attestato in Galleria da un altro esemplare (sala V, inv. CCXXXXII) alla cui scheda si rimanda per l’analisi dettagliata del modello.
Dal confronto con gli esemplari più noti, la scultura Borghese risulta un prodotto di scarsa qualità, elaborato nella seconda metà del II sec. d.C., con un trattamento semplificato del panneggio, che si articola anteriormente in scarse e dure pieghe e non presenta quella ricca caduta laterale sinistra presente nella replica da Ercolano (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, inv. Hm 327) e in quella da Delo (Atene, Museo Archeologico Nazionale, inv. 1827).
La sintesi tra il classicismo delle forme e i valori morali di honos, decor e pudicitia espressi dalla postura castigata e dall’ordinata disposizione del panneggio, determinarono l’ampio gradimento del tipo nel mondo romano per statue ritratto di personaggi pubblici, esponenti delle élites e privati. In questo caso, la testa non pertinente – sostituita forse già in età antica o dal restauratore ottocentesco – raffigura una giovane donna dal volto allungato e zigomi sporgenti, con occhi grandi e iridi rese plasticamente da un foro di trapano. Lo sguardo, rivolto verso l’alto, esclude lo spettatore, conferendo un’espressione ferma e distaccata; la bocca, piccola e ben disegnata, è chiusa. I capelli, appena ondulati, sono divisi al centro da una scriminatura e scendono sul collo coprendo le orecchie, raccogliendosi sulla nuca in una crocchia bassa e appiattita. L’acconciatura semplice ed elegante trova confronti nei ritratti delle Augustae di età tardoseveriana, in particolare con la capigliatura delle mogli di Severo Alessandro, fra secondo e terzo decennio del III secolo.
Jessica Clementi