Collezione Borghese, citato per la prima volta nell’Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 27, n. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo Paola Della Pergola (1959, p. 110, n. 161), la prima attestazione certa dell’opera in collezione Borghese corrisponde al “Retratto d’un giovane, d’autore incerto, largo oncie 10; alto palmi 1”, citato nell’elenco fidecommissario del 1833. Tuttavia, occorre qui segnalare anche la presenza di alcuni riferimenti a quadretti di stesso soggetto e con simili dimensioni, recanti l’attribuzione a Raffaello, presenti nell’inventario del 1693. Rimangono in ogni caso sconosciute le circostanze che hanno determinato l’ingresso dell’opera nella collezione.
Nel corso degli anni diversi studiosi hanno tentano di stabilire la paternità di quest’opera: Venturi (1893, p. 208) e Arslan (1928/29, p. 78) hanno proposto il nome di Pier Francesco Mola, già rifiutato da Cantalamessa (1912, n. 453), mentre Longhi (p. 222) e Della Pergola (cit.) l’hanno ricondotta alla cerchia romana post-raffaellesca. In particolare la studiosa, individuando dei rapporti con i frammenti di affreschi già nella Palazzina Altoviti, ha ipotizzato l’attribuzione di questo studio a Perin del Vaga.
La definitiva assegnazione della Testa di giovane a Domenico Beccafumi arriva solo nel 1967 grazie al contributo apportato da Sanminiatelli (1967, p. 126, n. 13), il quale ha per primo collegato l’opera al ciclo di affreschi eseguito dall’artista nella Sala del Concistoro nel Palazzo Pubblico di Siena. Si tratta di uno studio preparatorio per la figura in piedi dietro al braccio del carnefice nell’episodio del Sacrificio di Zaleuco di Locri ed è quindi riferibile agli anni di realizzazione degli affreschi, tra il 1529 e il 1535.
Il restauro dell’opera eseguito nel 1984 per la sua esposizione alla mostra romana Aspetti dell’arte prima e dopo Raffaello (Palazzo Venezia) ha permesso di chiarire alcuni elementi che ne hanno caratterizzano la storia. Si è infatti scoperto che questo studio, che all’epoca si presentava eseguito su un supporto cartaceo incollato su tela, doveva corrispondere in origine a una porzione del cartone preparatorio utilizzato da Beccafumi per la realizzazione dell’affresco senese. Secondo una prassi diffusa, il cartone era stato tagliato per ricavarne un quadretto della sola testa, e a tal fine incollato su tela e ritoccato a olio, rendendolo fruibile sul mercato. L’operazione fu condotta dallo stesso artista, alla cui mano sono riconducibili i ritocchi a pennello. In occasione del restauro sono state eliminate sia le pesanti verniciature applicate per dare all’opera l’aspetto di un quadretto a sé stante, sia la tela su cui era incollato il supporto cartaceo, costituito da due fogli di diverso spessore (Barbiellini Amidei, Bernini 1984, pp. 63-65, n. 16).
Quanto detto spiega la presenza di tracce di una quadrettatura a sanguigna, utilizzata per il trasferimento in affresco, e il grado di definizione dell’immagine, maggiore rispetto a un comune abbozzo, seppur condotta con tratto sciolto e veloce. L’immediatezza dello stile, di grande modernità, sembra derivare dallo studio condotto da Beccafumi durante la sua permanenza giovanile a Roma, intorno al 1510, dove ebbe modo di osservare sia esempi di pittura antica, come quelli nella Domus Aurea, sia i grandi cicli decorativi della scuola di Raffaello, interprete di quella stessa cultura del passato (Barbiellini Amidei, Bernini, cit.; Cecchi 1988, p. 14, n. 1, Herrmann Fiore 2011, p. 284, n. 51).
L’artista dimostra una spiccata propensione per il genere al limite tra disegno preparatorio e pittura finita, di cui, oltre alla Testa di giovane, rimangono diverse altre testimonianze nei numerosi studi realizzati per il ciclo di affreschi senese. In particolare, si ricorda lo studio per una testa di donna (Londra, British Museum) riferibile al medesimo episodio di quello Borghese, affine per tipologia e tecnica (Cecchi, cit.; Torriti 1998, p. 300, n. D105; Herrmann Fiore, cit.). Secondo Kristina Herrmann Fiore (cit.), la Testa di giovane è stata utilizzata da Beccafumi anche per la più anziana figura centrale del Sacrificio di Codro, a cui l’artista avrebbe aumentato l’età aggiungendo la barba, sfoltendo i capelli e accentuando la drammaticità dello sguardo.
Pier Ludovico Puddu