Il dipinto, tradizionalmente attribuito al pittore Scipione Pulzone, è documentato in collezione Borghese a partire dalla fine del Settecento. Ritrae su carta la testa di un vecchio - forse un profeta, un filosofo o un apostolo - eseguita con buona probabilità da un pittore attivo a Roma tra la fine del XVI e i primi anni del XVII secolo.
Salvator Rosa (cm 49 x 38 x 4,5)
Roma, collezione Borghese, 1790 (Inventario 1790, Stanza X, n. 42; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 18. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa testa, uno studio di buona qualità raffigurante un vegliardo, è attestata in collezione Borghese a partire dal 1790 (Della Pegola 1959), assegnata dall'estensore dell'inventario a Scipione Pulzone, nome ripetuto sia negli elenchi fedecommissari (1883), sia da Giovanni Piancastelli (1891). Nel 1912, recuperando l'attribuzione a Ludovico Carracci formulata da Adolfo Venturi (1893), Giulio Cantalamessa descrisse questa opera su carta come uno studio per la testa di san Filippo Neri, ipotesi su cui sorvolò Roberto Longhi (1928) che però tenne a confermare la pista carraccesca prospettata dal collega, avvicinando il dipinto al catalogo di Annibale.
In occasione della pubblicazione del catalogo dei dipinti della Galleria Borghese, nel 1959 Paola della Pergola riesumò la vecchia assegnazione al pittore di Gaeta, avvicinando questo studio al volto di San Giuseppe della Sacra Famiglia con i santi Giovannino ed Elisabetta, (Galleria Borghese, inv. n. 313), col quale, a detta della studiosa, questa Testa condividerebbe 'il venezianismo di seconda mano..., le rughe sulla fronte, il lobo squadrato dell'orecchio, e la stessa tipologia dei lineamenti' (Ead.). Tale attribuzione, confermata da Kristina Herrmann Fiore (2006), deve essere sicuramente rivista in favore di un pittore attivo a Roma tra la fine del XVI e primi anni del XVII secolo, sensibile alla maniera bolognese di Annibale e ai modelli figurativi veneziani.
Antonio Iommelli