Venere e Adone è ricordato nella descrizione della Villa Pinciana redatta da Manilli nel 1650 come opera di Luca Cambiaso, mentre nella citazione inventariale del 1693 viene erroneamente attribuito al Pomarancio, come anche un altro dipinto affine, anch’esso dell’artista ligure, presente in collezione e raffigurante Venere e Amore sul mare. Nella seconda metà del Settecento il dipinto, ricondotto alla mano di Cambiaso, è attestato nella dimora urbana dei Borghese in Campo Marzio, e lo si ritrova esposto nella Villa a partire almeno dal 1859.
Il tema mitologico, di grande fortuna, fu affrontato dall’artista diverse volte in pittura e disegno. Nel caso della tela qui presa in esame, la critica ha avanzato una cronologia riconducibile alla produzione tarda del pittore, tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo.
Salvator Rosa (cm 164,5 x 120 x 9)
Roma, collezione Borghese, ante 1650; Inventario 1693, Stanza VI, n. 7; Inventario 1790, Stanza VI, n. 34; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 12. Acquisto dello Stato, 1902.
In esposizione temporanea alla Galleria Nazionale d'Arte Antica per la mostra "Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini"
La tela raffigurante Venere e Adone, come già segnalato da Paola Della Pergola (1955), compare nella guida della Villa Pinciana redatta da Manilli nel 1650, correttamente attribuita a Luca Cambiaso: “Due amanti con Cupido in aria è di Luca Cangiassi”, ultimo dipinto menzionato nell’intera opera. Nel successivo inventario Borghese del 1693 il quadro compare senza una precisa indicazione del tema mitologico e ricondotto alla mano del Pomarancio, mentre riappare nuovamente sotto il nome di Cambiaso nell’elenco del 1790. Da qui, l’ipotesi di Della Pergola che la tela fosse identificabile con un quadro di Venere e Adone elencato tra i beni di Olimpia Aldobrandini nel 1682 con l’attribuzione al Veronese, di cui si ha notizia fino al 1750, e che facesse parte di quel nucleo di opere che, al termine delle controversie legali sulla secondogenitura Aldobrandini, furono restituite dai Pamphilj agli eredi di Giovanni Battista Borghese, primo figlio di Olimpia (Della Pergola 1963).
Studi successivi hanno poi riconosciuto il dipinto nella tela con “una Donna nuda a sedere con un Homo che gli mette la mano sotto al Barbozzo con un Amorino […] del Pomarangi” citato nell’inventario del 1693, sottolineando che l’attribuzione al Pomarancio ricorreva anche per un altro quadro a tema mitologico di Cambiaso, la Venere e Amore sul mare (inv. 123), le cui affinità stilistiche con Venere e Adone dovevano risultare ben evidenti (Cappelletti 1996). L’erronea attribuzione dei due dipinti rimane in ogni caso abbastanza singolare, considerando che lo stesso inventario attesta la presenza in collezione di altre sei opere a tema mitologico dell’artista ligure, che certamente potevano offrire un valido termine di confronto (Leonardi 2007).
Nel 1760 Venere e Adone è attestato nel palazzo Borghese in Campo Marzio, dove si trova ancora nel 1833, mentre dal 1859 è nuovamente conservato nella Villa Pinciana, come testimonia la Descrizione a stampa che veniva abitualmente fornita ai personaggi in visita alla collezione (Leonardi, cit.).
L’artista affronta il tema più volte, variandolo, in diversi esempi pittorici e grafici (Suida Manning, Suida 1958). Nel caso della tela Borghese, l’attenzione è posta sul dialogo amoroso tra i due protagonisti, come suggerito dall’eloquenza dei loro gesti: Venere, con il dito puntato verso l’amato, lo ammonisce a non dedicarsi alla caccia con troppa audacia, quasi a presagire l’imminente tragedia, mentre Adone le accarezza il mento come a volerla tranquillizzare prima di partire (Cappelletti, cit.)
La critica ha ricondotto il dipinto alla fase tarda di produzione dell’artista, tra la seconda metà degli anni Sessanta e il decennio successivo (Suida Manning, Suida, cit.; Magnani 1995, p. 92).
Pier Ludovico Puddu