La tavola è pendant dell’altra con Eva (inv. 131). In occasione del riordinamento del 1925, le tavole sono state riferite a un allievo di Bellini, Marco Basaiti, attribuzione in seguito accolta dalla critica. Evidenti sono i richiami all’incisione, ai disegni e ai dipinti raffiguranti i medesimi personaggi eseguiti dal grande artista tedesco Albrecht Dürer prima, durante e subito dopo il secondo soggiorno veneziano (1505-1507). All’incisore tedesco rimandano il bue e i conigli, desunti dal una stampa del 1504: i due animali simboleggiano rispettivamente l’indolenza flemmatica e la sensualità sanguigna, che avrebbero avvinto l’uomo dopo il peccato.
Salvator Rosa cm. 177 x 110 x 8
Roma, collezione Scipione Borghese; inventario ante 1633, n. 2 (Corradini 1998, p. 449); Inventario 1693, Stanza VI, n. 4; Inventario 1790, Stanza VI, n. 2; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24 (?). Acquisto dello Stato, 1902.
Questo dipinto e il suo pendant con Eva sono documentati nella collezione di Scipione Borghese a partire dall’inventario del 1633 circa, in cui compaiono “Doi quadri in tavola longhi uno con Adamo, et l’altro con Eva nudi cornice dorata, et noce, alto 5 3/4 larghi 3 1/2 Gio. Bollino”. Con l’attribuzione a Giovanni Bellini sono citati anche nella guida di Manilli (1650, p. 85) e in altri inventari sei e settecenteschi, con l’eccezione di quello del 1693 in cui il quadro di Eva è attribuito a Lucas van Leyden, mentre l’altro mantiene l’assegnazione precedente. Nell’elenco fidecommissario del 1833 risultano entrambi privi di attribuzione e la tavola con Adamo è perfino difficilmente identificabile, forse perché ne era stato in qualche modo frainteso il soggetto in epoca precedente, quando i due dipinti vennero trasferiti dalla Villa Pinciana al Palazzo Borghese in Campo Marzio e collocati nella “Stanza delle Veneri”: nel documento del 1693 Adamo risulta infatti un “Homo nudo che tiene in mano il pomo”, mentre Eva è una “Donna nuda in piedi col pomo in mano”; quest’ultima, non a caso, diventa una Venere nell’inventario del 1833, mentre Adamo è forse identificabile con un ritratto menzionato poco dopo il suo pendant.
La coppia di dipinti rielabora un’invenzione dureriana del 1504 e 1507, che ebbe una discreta fortuna sia nella pittura tedesca che veneziana, a cui vanno certamente ricondotti i due pannelli Borghese. Nel quadro di Adamo il giovane è raffigurato completamente nudo, in piedi, con il frutto proibito nella mano sinistra e lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Dietro il protagonista si vedono alcuni alberi e un paesaggio sullo sfondo, mentre il bue e i due conigli nella parte inferiore del dipinto sono stati letti rispettivamente come l’indolenza flemmatica e la sensualità sanguigna che avrebbero avvinto l’uomo dopo il peccato originale.
Già Venturi (1893, pp. 96-97) notava l’influsso della pittura di Dürer e riconduceva la tavola alla scuola di Bellini; nel 1925, con il riordinamento della Galleria Borghese ad opera dell’allora direttore Giulio Cantalamessa, i due pannelli vengono riferiti a Marco Basaiti, pittore veneziano allievo di Giovanni Bellini. Tale attribuzione viene accolta dalla critica successiva ad eccezione di Berenson (1957, I, p. 122) che fa il nome di Alessandro Oliverio (circa 1500-1544) e Heinemann (1962, p. 305) che propone, in via dubitativa, un pittore fiammingo operante in Italia.
Pier Ludovico Puddu