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Dama con liocorno

Sanzio Raffaello

(Urbino 1483 - Roma 1520)

L’opera è riconoscibile con certezza per la prima volta negli inventari della collezione Borghese solo nel fidecommisso del 1833. Rappresenta una fanciulla seduta davanti al parapetto di un loggiato; indossa un abito dal corsetto aderente e ampia scollatura, una collana in maglia d’oro con un pendente ornato da pietre preziose e una perla a goccia. Ha in grembo un piccolo unicorno, simbolo tradizionale di castità.

Fino al 1936 la donna era raffigurata come Santa Caterina d'Alessandria, caratterizzata dal consueto attributo della ruota dentata visibile al posto dell'attuale unicorno; sulle sue spalle un pesante manto modificava il profilo della figura. Le radiografie effettuate in quell’occasione rivelarono al di sotto dell’unicorno la presenza di un cane, animale legato al concetto di fedeltà coniugale.

Riferita in precedenza a scuola di Perugino, a Francesco Granacci o al Ghirlandaio, dopo il restauro la critica è stata in generale concorde sull’attribuzione del dipinto a Raffaello, già proposta da Longhi (1927). Il dipinto è ritenuto opera giovanile dell’artista, variamente datata tra 1506 e 1509; si è anche ipotizzato (Coliva 2006; 2020) che possa trattarsi di un ritratto di Maddalena Doni in qualità di promessa sposa, con una conseguente datazione al 1504-1505.


Scheda tecnica

Inventario
371
Posizione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Olio su tavola trasportata su tela (applicata su tavola)
Misure
cm 67 x 56
Cornice

La cornice all’antica è stata realizzata nel 1936 da A. Aloisi.

Provenienza

Roma, Collezione Borghese, Inventario Fidecommissario Borghese 1833. Acquisto dello stato, 1902.

Mostre
  • 1982 Roma, Palazzo di Venezia
  • 1984 Roma, Palazzo Venezia
  • 1992 Roma, Villa Medici
  • 2001-2002 Parigi, Museé du Luxembourg
  • 2004 Oslo, Nasjonal Galleriet
  • 2004-2005 Londra, National Gallery
  • 2005 Bolzano, Centro culturale Trevi
  • 2006 Roma, Galleria Borghese
  • 2008 Urbino, Galleria Nazionale di Urbino
  • 2009-2010 Kyoto, Metropolitan Art Museum; Tokyo National Museum of Modern Art
  • 2011 Mosca, Ambasciata Italiana; Museo Puskin
  • 2015-2016 Cincinnati, Art Museum
  • 2016 San Francisco, Fine Arts Museum of San Francisco
  • 2020, Roma, Scuderie del Quirinale
  • 2024 Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini
  • 2024 Parigi, Musée Jacquemart-André
Conservazione e Diagnostica
  • 1903 Luigi Bartolucci
  • 1932-1933 Giuseppe Cellini
  • 1934-1936 Augusto Cecconi Principi
  • 1959-1960 I.C.R (diagnostica); Nerina Neri (restauro)
  • 1984 XRF- Rayleigh e Compton, gruppo di lavoro Prof. C. Maltese (Storia dell’Arte) e S. Sciuti (Fisica Nucleare) dell’Università La Sapienza di Roma
  • 2000 Maurizio Seracini Editech
  • 2001 Kromo S.n.c. di Laura Ferretti & C.
  • 2019 XG Lab; IFAC-CNR (diagnostica)

Scheda

La fanciulla è ritratta in leggero tre quarti, seduta davanti al parapetto di un loggiato, percepibile dalle due colonne che delimitano lateralmente la metà superiore del dipinto. Sullo sfondo è uno paesaggio collinare dai toni sfumati. La giovane donna indossa un abito dal corsetto aderente e ampia scollatura, stretto in via da una cintura sottile. Sul tessuto verde chiaro spiccano la bordura che profila la scollatura e le pesanti maniche in velluto rosso scuro. Le spalle sono coperte da un velo leggero e intorno al collo è annodata una catena in maglia d’oro che scende sul petto con un pendente formato da un grande rubino o granato centrale montato in oro e concluso da una perla a goccia. D’oro sono sia la piccola fibbia in vita che il delicato fermaglio sui capelli, raccolti intorno al volto, che scendono morbidamente a treccia sulle spalle.

Il dipinto è riconoscibile per la prima volta con certezza nel fidecommisso del 1833, dove è descritto come “Un Ritratto rappresentante Santa Caterina della Rota, della Scuola di Perugino, lungo p. 2 ½; alto p. 3”.

L'aspetto dell'opera, quale si presenta oggi ai nostri occhi, è il risultato di uno storico intervento di restauro seguito a una complessa vicenda critica sviluppatasi a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Fino al 1936 infatti il personaggio ritratto era raffigurato come Santa Caterina d'Alessandria, caratterizzata dal consueto attributo della ruota dentata visibile al posto dell'attuale unicorno; sulle sue spalle un pesante manto modificava il profilo della figura, coprendo parte della veduta sul paesaggio retrostante.

Della Pergola (1959) fu la prima ad avanzare l’ipotesi della provenienza dell’opera dalla collezione Aldobrandini sulla base di una descrizione dell’inventario del 1682, in seguito integralmente pubblicato (Della Pergola 1962, p. 321): “Un quadro in tavola con una donna a sedere con Alicorno in braccio [faccia] alto palmi uno e mezzo in circa con cornice nera di mano incerta, alquanto scrostata come nell’inventario sudetto a fogli 192 n. 40”. Ipotesi tuttavia non pienamente convincente (C. Bon Valsassina 1984, p. 25; Herrmann Fiore 1992; Tarissi de Jacobis 2003, pp. 168-169) per le dimensioni discordanti della tavola, già rilevate dalla studiosa stessa, peraltro confermate negli inventari della collezione Aldobrandini dal 1623 (Testa 2001, p. 47; eadem 2021, pp. 376-379; 380) almeno fino al 1769 (Minozzi 2006). Un’altra ipotesi (Costamagna 2000) ritiene l’opera riconoscibile già nell’inventario datato prima della morte del cardinale Borghese (Corradini 1998, in Bernini scultore. La nascita del Barocco in Casa Borghese, catalogo della mostra, a cura di A. Coliva e S. Schütze, Roma 1978, p.455, n. 256). Nonostante le misure simili alla Dama con Liocorno, la citazione “Un quadro di santa Caterina cornice di noce tocca d'oro con ovili dorata, alto 2 3/4 largo 2 1/4. Raffaelle” appare tuttavia più verosimilmente riferibile alla Santa Caterina (oggi alla National Gallery di Londra, inv. NG 168) in quanto la tavola londinese, già in collezione Borghese e venduta a Londra nel 1801, è l’unica con tale soggetto a risultare costantemente presente in tutti gli inventari della famiglia, tra cui quello del 1693 del quale ancora oggi riporta il numero identificativo in basso a destra, con l’attribuzione sicura a Raffaello.

Fu Giovanni Morelli (Lermolieff 1874) a indicare per primo un collegamento dell’opera con il “ritratto di Maddalena Doni fiorentina in stile del Perugino”, come peraltro già appariva fin dal 1854 sui supporti a stampa messi a disposizione del pubblico, forse in seguito a una identificazione del soggetto evidentemente già circolante, in seguito parzialmente corretta dal critico nel 1897 spostando l’attribuzione a Francesco Granacci o al Ghirlandaio. Altrettanto rilevante fu il collegamento proposto per la prima volta da Morelli (1890) tra il dipinto e il disegno di Raffaello al Louvre (Museo del Louvre, Département des Arts graphiques, inv. 3882). Inoltre, come recentemente rilevato, una foto della tavola compare nel catalogo delle immagini appartenenti alla Prince Albert Collection, redatto a cura di Carl Ruland nel 1866 con analoghi riferimenti alla Maddalena Doni e al disegno del Louvre (Bonetti, Seccaroni 2023).

Avvicinata da Venturi ad Andrea del Sarto (1893) e successivamente a Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (1925) è Cantalamessa per primo a ipotizzare, sulla base delle difformità stilistiche presenti nel dipinto, la mano di un pittore più tardo per la trasformazione del soggetto originale, ancora non svelato, in s. Caterina (1916). Il pieno riconoscimento della paternità del quadro a Raffaello spetta tuttavia a Roberto Longhi (1927), che propone le ridipinture come opera di Giovanni Antonio Sogliani.

Le radiografie effettuate nel 1933 dal direttore della Galleria Achille Bertini Calosso rivelarono la figura sottostante e fu pertanto deciso l‘intervento di restauro, affidato ad Augusto Cecconi Principe. Il fissaggio della pellicola pittorica precedette la distruzione della tavola originale; il colore venne quindi trasportato su una tela poi applicata su un nuovo supporto ligneo e le sovrammissioni della ridipintura rimosse con un bisturi. Venne quindi alla luce il soggetto originale rivelando la presenza dell’unicorno, simbolo di castità (De Rinaldis 1636). Un’operazione invasiva, che rese necessario un successivo intervento eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro nel 1960. Le nuove radiografie effettuate in quell’occasione rivelarono al di sotto dell’unicorno la presenza di un cane, animale legato al concetto di fedeltà coniugale, mentre la leggera pulitura permise il recupero del nastro che lega la manica sinistra. Permangono tuttavia i dubbi non risolti riguardo alle circostanze, alla committenza e dunque al personaggio per cui fu eseguito il ritratto originale.

Successivamente al restauro del 1936 la critica è stata in generale concorde sull’attribuzione dell’opera a Raffaello, datata in generale intorno al 1506 (solo per una bibliografia essenziale: Carli 1959; Della Pergola 1959; Valsecchi 1960; Berti 1961; E. Lucie Smith 1961; Castelfranco 1962; Tea 1963; Fusero 1963; Ciardi Dupré 1964; Becherucci 1968; Wagner 1969; Ferrara 1970; Rizzati 1975; Oberhuber 1982; Bon Valsassina, 1984; Ferino Pagden, Zancan 1989; Hermann Fiore 1992; Ferino 1994; Herrmann Fiore 1997; Costamagna 2000; Meyer zur Capellen 2001; Henry 2004; Minozzi 2006; 2023). Coliva (2006; 2020) anticipa la datazione dell’opera tra il 1504 e il 1505, ritenendola la raffigurazione della Maddalena Doni in qualità di promessa sposa, precedente quindi ai ritratti dei coniugi Agnolo e Maddalena (Gallerie degli Uffizi, invv. 1912 nn. 61, 59) che sarebbero stati eseguiti tra il 1507 e il 1508 in occasione della nascita di uno dei figli, in accordo con la dazione proposta da Schearman (J. Shearman, On Raphael cronology 1503-1508, in Ars naturam adiuvans. Festschrit für Matthias Winner, a cura di V. von Flemming, S. Schütze, Mainz am Rhein 1996, pp. 201-207).

Di opinione diversa e a favore di un’attribuzione a Ridolfo del Ghirlandaio verso il 1508-1509 si sono espressi Freedberg (1961), Kelber (1963; 1979), Dussler (1966; 1971) e De Vecchi (2002), precedentemente a favore dell’assegnazione a Raffaello (1966; 1981), mentre Ragghianti (1978) ha mantenuto il riferimento a Granacci.

La tavola è comunque ritenuta opera giovanile di Raffaello, analogamente al citato disegno del Louvre, che gli studiosi attribuiscono a Raffaello come studio preparatorio (Knab, Mitsch, Oberhuber 1984; Joannides 1983; Viatte 1983, n. 50), che rivela con evidenza l’influsso della Monna Lisa di Leonardo, avvalorando l’ipotesi di un diretto contatto durante il periodo fiorentino di Raffaello. Più recentemente è stato altresì ipotizzato che il disegno, nonostante le somiglianze con la tavola Borghese e con il Ritratto di Maddalena Doni, sia da considerare piuttosto uno studio a sé stante sulle novità della ritrattistica leonardesca (Henry 2004) ed è stato altresì messo in relazione con il Ritratto di Costanza Fregoso (Cordellier, Py 1992; Viatte 2003) attribuito a Raffaello da Lucco (2000), con un conseguente spostamento di datazione della tavola Borghese al 1507.

Le indagini, e in particolare le più recenti, soprattutto le mappe di concentrazione degli elementi (XRF Mapping), hanno reso con evidenza in alcune zone l’impoverimento degli elementi propri degli strati originari, oltre ai residui del manto non rimossi (Alberti, Frizzi, Gironda, Occhipinti et al. 2023). Dalle indagini multispettrali emerge la delicatezza del disegno sotto la stesura sottile e luminosa del colore con cui Raffaello ha reso l’incarnato del volto. Di grande interesse la lettura delle linee di riferimento utili alla impostazione simmetrica della figura nella leggera rotazione del busto, con aspetti finora non rilevati in altri ritratti femminili di Raffaello (Cucci, Cherubini, Picollo, Seccaroni, Stefani 2023).

Marina Minozzi




Bibliografia
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  • R. Longhi, Percorso di Raffaello giovine, in Paragone, 65, 1955, pp. 8-23 p. 22
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  • R. Longhi, Problemi di lettura e problemi di conservazione, in A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano s.d., pp. 23-24
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  • E. Carli, Raffaello, Milano 1959 tav. 41
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  • W. Kelber, Raphael von Urbino: Leben und Werk, Stuttgart 1979, pp. 108; 429-430
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  • K. Herrmann Fiore, Roma scopre un tesoro. Dalla pinacoteca ai depositi un museo che non ha più segreti, 2006, p. 123
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