A differenza degli altri due affreschi facenti parte dello stesso ciclo e provenienti dal Casino Olgiati, un tempo situato nell’area dell’attuale galoppatoio nella Villa Borghese (acquistato dai Borghese nel 1831 e distrutto nel 1849), cioè Le Nozze di Alessandro e Rossane e l'Offerta a Vertumno e Pomona, gli Arcieri è stato inizialmente riferito a una mano diversa da quella di Siciolante, opinione non condivisa dalla critica più recente. La composizione dell'opera deriva da un disegno di Michelangelo ispirato al mondo classico, che rivela tuttavia la conoscenza e la ripresa di soluzioni compositive tratte da Raffaello. Nell'ambito del ciclo decorativo originario, basato su un tema di natura erotica, il soggetto del dipinto simboleggia le Passioni che colpiscono le Virtù, ovvero l'Amore spirituale insidiato dall'Amore carnale.
Collezione Borghese, 1831. Acquisto dello Stato, 1902.
L’affresco con gli Arcieri attribuito a Girolamo Siciolante, pittore di Sermoneta, insieme con l’Offerta a Vertumno e Pomona (inv. 300) e con Le nozze di Alessandro e Rossane (inv. 303) anch’essi in collezione Borghese, faceva parte di un ciclo che decorava quella che, fino all’inizio dell’Ottocento, veniva considerata la casa romana di Raffaello Sanzio: il Casino Olgiati-Bevilacqua all’interno di Villa Borghese, nella zona dell’attuale galoppatoio. La sua notorietà, dovuta al ‘nobile’ soggiorno del pittore urbinate, era ancora stabile alla fine del Settecento: sarà difatti, fino alla sua distruzione nel 1849, un luogo di ‘pellegrinaggio’ battuto specialmente da milordi inglesi e francesi ma frequentato anche da nobili romani e artisti. Negli stati delle anime della parrocchia di Santa Maria del Popolo risulta che un tale Giuseppe Wiseman vivesse nella vigna Olgiati fino al 1765 e che dal 1775 vi risiedesse una numerosa colonia di pittori inglesi, tra i quali il figlio di Giuseppe, Gaetano Wiseman. Questo fascinoso ritrovo straniero viene narrato da Charles Burney nel suo Viaggio musicale in Italia: «Per raggiungere la Villa Rafaele, fuori le mura, dovevo percorrere un lungo cammino su strada polverosa e infuocata. La villa è ora occupata da un inglese che risiede a Roma da 19 anni, stimato da tutti gli inglesi di Roma. Si tratta di un certo Mr. Wiseman, pregevole maestro e copista di musica. Parla ormai un inglese scorretto come quello parlato dagli italiani. La villa è grande e situata in una bella posizione nel centro del parco. Vi sono alcune volte e qualche pezzo di muro dipinti da Raffaello su di un intonaco ben levigato, fatto di polvere di marmo mescolata a bianco d’uova. Sul muro sono rappresentate la sua amante e parecchie figure maschili ignude assai espressive che lanciano frecce verso un bersaglio. Vi sono pure degli affascinanti dipinti di carattere grottesco di Giovanni da Udine, su disegno di Raffello. Durante i primi mesi dell’inverno, prima che abbia inizio la stagione dell’opera, Mr. Wiseman organizza ogni settimana un concerto a cui assistono i membri della nobiltà e della borghesia inglese. Il defunto duca di York, il principe di Brunswick e parecchi personaggi altolocati organizzavano concerti qui per la migliore società romana» (Burney 1770, p. 228).
Il Casino rimane un luogo difficile da rintracciare nelle mappe del tempo, da quella del Bufalini del 1551 a quella settecentesca realizzata da Giovan Battista Nolli. Gli Olgiati ne furono proprietari finché fu ceduto, nel XVIII secolo, al cardinale Giuseppe Doria Pamphili. Dai Doria passò prima nelle mani di Vincenzo Nelli e, al principio dell’Ottocento, prima allo scultore Bevilacqua, poi agli eredi Garroni. Quest’ultimi lo vendettero nel 1831 per 6.750, 52 scudi al principe Camillo Borghese (la stima fatta dal Canina ammontava a 3380 scudi: Hunter 1996). Dopo l’acquisto da parte del principe i tre affreschi vennero distaccati nel 1836 entrando a far parte della collezione Borghese.
Il ciclo, comprendente gli arcieri, venne descritto ancora in loco nel 1791 dallo storico Mariano Vasi nella sua guida di Roma intitolata Itinerario istruttivo di Roma o Descrizione generale delle opere più insigni di pittura (1791) e poi, insieme all’apparato della sala, da Karl Förster (1827, pp. 139-142) e da Johann David Passavant (1860, pp. 286-290).
Tali affreschi dovevano trovarsi, secondo la descrizione del Passavant, tra le grottesche che ornavano le due lunette: ogni lunetta conteneva due medaglioni con ritratti femminili e un dipinto.
L’autore riferiva questo e l’altro con le nozze di Alessandro e Rossane a Perin del Vaga; successivamente il ciclo fu individuato più prudentemente come di scuola di Raffaello. La vicinanza stilistica con l’affresco Le nozze di Alessandro e Rossane rimanda a una stessa mano o allo stesso gruppo di esecutori sicuramente vicini alla scuola di Raffaello, ma, soprattutto ne Gli arcieri, con evidenti cenni alle influenze michelangiolesche (Della Pergola 1959). L’attribuzione a Siciolante risale solo al Novecento: Bernice Davidson nel 1966 riconosceva in due dei tre affreschi staccati quei «polverosi colori pastello […] cangianti» come «molto simili a quelli nella cappella Caetani a Sermoneta», scartando però proprio gli Arcieri che le sembravano «may be by some other hand» (Davidson 1966, p. 63). Questa tesi venne ripresa e ampliata quasi vent’anni dopo (diss. 1983; ed. it. 1996) da John Hunter che li ritenne opere giovanili del pittore (1544-45 circa) nonostante l’assenza di notizie certe riguardo la commissione (pp. 136-139) complichi la questione.
Il soggetto vanta un celebre modello nel disegno michelangiolesco a sanguigna che fu in collezione Farnese, poi pervenuto nelle collezioni reali inglesi dei duchi di Windsor. La realizzazione dell’affresco in controparte rispetto al disegno può significare il rimando, più che al magnifico modello, a un’incisione dello stesso o forse a un perduto originale (Della Pergola, 1959, pp. 129-130). Evidenti riferimenti a Michelangelo e, nelle soluzioni compositive, a Raffaello vengono mediati dall’esperienza di Siciolante che condivise lavori con Daniele da Volterra e Sebastiano del Piombo, pur senza raggiungerne gli esiti più elevati.
Il ciclo originario della stanza che li accoglieva era destinato a rappresentare le Passioni insediate dalle Virtù e, nello specifico, l’Amore spirituale tentato da quello carnale, evocazione di un tema a sfondo velatamente erotico.
Le condizioni di conservazioni sono discrete e l’affresco non risulta sia mai stato sottoposto a restauri nonostante tutto il Casino, compreso delle sue opere d’arte, venisse ricordato in pessime condizioni di conservazione già da Davidson (1966, p. 63).
Gabriele de Melis