Il gruppo scultoreo raffigura Asclepio, stante sulla gamba sinistra e con la destra flessa, affiancato da un piccolo Telesforo. Il dio indossa solo un himation che lascia scoperti il petto e il braccio destro, disposto lungo il corpo, e si raccoglie sul braccio sinistro flesso. La mano destra è poggiata sul bastone attorno al quale si avviluppa il serpente, la sinistra, invece, sorregge una piccola ciotola. La testa, ritenuta antica ma non pertinente, è leggermente girata verso destra e contornata da ciocche folte e spesse e da una ricca barba. La piccola divinità a sinistra del dio, introdotta in un secondo momento, è ritratta in una rigida frontalità, posta sopra un plinto circolare. Indossa un ampio mantello, il cucullus, che lo ricopre dalla testa, lasciando scoperti i piedi nudi.
Il gruppo ornava la fontana ovale nel IV viale del I Recinto della Villa, dove la ricorda fino al 1700 Domenico Montelatici. Nel 1893, Adolfo Venturi la menziona nella sua attuale collocazione. Le numerose rielaborazioni della figura di Asclepio, eseguite in epoca imperiale, tra le quali può ascriversi quella Borghese, si caratterizzano per la loro uniformità che offre lievi varianti nella disposizione del corpo e del panneggio. L’esemplare Borghese, sulla base dei confronti e per gli aspetti stilistici si può datare nel II secolo d.C.
Iacomo Manilli, nel 1650, e Domenico Montelatici, nel 1700, menzionano il gruppo scultoreo nel IV viale del I Recinto della Villa, quale ornamento della fontana di forma ovale (Manilli 1650, p. 11; Montelatici 1700, p. 23). Antonio Nibby, nel 1832, la pone nella stanza IV, detta “Camera del Gladiatore”, mentre con Adolfo Venturi, nel 1893, la scultura è ricordata, infine, nella sua attuale collocazione (Nibby 1832, p. 115, n.7; Venturi 1893, p. 42).
Il gruppo scultoreo è composto dalla figura di Asclepio, raffigurato stante sulla gamba sinistra e con la destra leggermente scartata di lato, affiancato da un piccolo Telesforo. Il dio indossa un himation che copre la spalla sinistra lasciando scoperta quella destra e il torso fino alla vita, per poi andarsi a raccogliere sul braccio sinistro. Il braccio destro scende lungo il corpo e la mano si adagia sul bastone, attorno al quale si avvolge in maniera spiraliforme il serpente. Il braccio sinistro è flesso in avanti e nella mano sorregge una piccola ciotola. I piedi calzano delle crepides, sandali trattenuti da strisce di cuoio. La testa, ritenuta antica ma non pertinente (Moreno, Viacava 2003, p.230, n.217), è leggermente volta verso destra. Si presenta sormontata da una capigliatura vivace a riccioli scomposti ben marcati, che assieme alla barba e ai folti baffi, finisce per circondare completamente il volto. L’espressione solenne esprime appieno la natura divina, con labbra chiuse e sopracciglia molto evidenziate. La figura di piccole dimensioni, posta alla sinistra di Asclepio, viene considerata da Paolo Moreno un’aggiunta successiva (Moreno, Viacava 2003, p. 230, n. 217).
La giovane divinità, ritratta in posizione frontale su una base marmorea circolare, è identificabile con Telesforo, figlio o aiutante del dio. Indossa un ampio mantello, il cucullus, sollevato leggermente sul davanti dalle braccia flesse, che lo copre interamente, lasciando scoperti i piedi nudi affiancati.
Secondo l’etimologia, Telesforo, è “colui che porta a compimento” (Rühfel 1994, p. 870), con una valenza benefica quando indica la guarigione, nefasta quando è legata alla fine della vita.
Asclepio, venerato quale protettore della medicina, aveva il suo santuario principale a Epidauro, in Tessaglia. Tito Livio ricorda che i romani, a causa di un’epidemia di peste, nel 293 a.C., inviarono nella città greca un’ambasceria per riportare a Roma il sacro serpente, signum Aesculapii, come rimedio alla pestilenza. Durante la risalita del Tevere il serpente sgattaiolò dalla nave e si rifugiò sull’isola Tiberina, scegliendo questo come luogo dove sarebbe dovuto sorgere il santuario del dio (Tito Livio, Storia Romana con supplementi di Johann Freinsheim, Libro XI, capitoli 12-13). Ovidio prosegue dicendo che “assunta di nuovo la divina figura, mette fine ai lutti e la sua venuta è foriera di salute alla città” (Ovid., Metamorfosi, XV, vv.742-744). Negli ambulacri di Asclepio, la guarigione era ottenuta mediante l’incubazione: i malati che vi passavano la notte potevano sperare nella manifestazione del dio in sogno e la rivelazione del rimedio alle malattie (Guarducci 1971, pp. 267-281).
Il gruppo statuario Borghese trova una particolare pertinenza, nella composizione e nella resa della fisionomia del dio, con quello conservato presso il Museo del Louvre (Martinez 2004, pp. 74-75, n. 1020) riferito all’iconografia del tipo “Amelung” (Sirano 1994, pp. 199-232), e con l’esemplare, di dimensioni colossali, presente agli Uffizi, del tipo “Firenze” (Holtzmann 1984, p. 878, n. 145). La statua dell’Asclepio Borghese è da ritenersi, come le due menzionate, una creazione romana, inquadrabile nel II secolo d.C., ispirataad un originale greco di V secolo a.C. La testa barbuta, non pertinente, presenta tuttavia una stretta somiglianza con il modello iconografico attribuito al dio salutare, in particolare nella caratterizzazione del tipo “Albani”, con un profondo chiaroscuro di barba e capelli composti da ciocche vive e disordinate, così come si ritrova nella copia conservata al Museo del Louvre (Holtzmann 1984, p. 883, pl. 655, n. 257; Martinez 2010, p. 79).
Giulia Ciccarello