Anche se il quadro, come l'altro con lo stesso soggetto (inv. 249) e dello stesso autore, è ravvisabile con certezza solo negli elenchi fedecommissari del 1833, entrambi sono probabilmente da identificare con le due "bambocciate" elencate nell'eredità Salviati e attribuite dalla critica a Michelangelo Cerquozzi, artista romano che insieme al fiammingo Jan Miel è considerato uno dei maggiori rappresentanti di questo genere pittorico.
Il termine deriva dal soprannome dato a Pieter van Laer, artista olandese - chiamato 'il Bamboccio' per il suo aspetto fanciullesco - specializzato in opere di piccolo formato, raffiguranti scene di vita quotidiane, cariche di un realismo narrativo e bozzettistico, dette per l'appunto bambocciate.
(?) Roma, collezione cardinale Gregorio Salviati, 1782-1789 (Inventario Salviati, 1782-1789, nn. 23-24; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo quanto ipotizzato da Paola delle Pergola (1959), questo dipinto insieme al suo pendant (inv. 249) proverrebbe dalla raccolta del cardinale Gregorio Salviati, giunto sul finire del XVIII secolo in collezione Borghese, dove è segnalato a partire dal 1833, elencato nell'inventario fedecommissario come opera di autore ignoto. Ma, a differenza dell'altra opera, in questo caso l'attribuzione a Michelangelo Cerquozzi è stata accolta fin da subito da tutta la critica (Venturi 1893; Longhi 1928; Della Pergola 1959), a partire da Xavier Barbier de Montault (1870) che per l'altra Bambocciata aveva proposto il nome di Philips Wouwermann.
Quest'opera, che si inserisce coerentemente nel catalogo del pittore romano, raffigura un gruppo di contadini, ritratti nella lussureggiante cornice della campagna romana, dediti alle loro attività. In primo piano, una donna - forse un'indovina - ascolta attentamente le parole di un uomo sedutole di fronte, osservata da un tenero fanciullo alle sue spalle. Ad arricchire la scena un cane, e a terra, grappoli d'uva, fichi e un melagrana.
Antonio Iommelli