Il dipinto, così come la Venere incoronata da Amore, il San Giovanni Battista, la Cattura di Cristo e il Calvario, proviene verosimilmente dal sequestro, ordinato da Paolo V nel 1607, delle opere esistenti nello studio del Cavalier D’Arpino. Si tratta del primo modello per l’affresco eseguito dall’artista nella Sala degli Orazi e Curiazi nel Palazzo dei Conservatori in Campidoglio. Esso raffigura la battaglia del re Tullo Ostilio contro i veienti e i fidenati con l’episodio drammatico del ritiro degli albani, alleati dei romani, ritratti sulla destra della composizione. Il Cesari coglie la battaglia nel momento dello scontro fra le due schiere di cavalieri.
La tela raffigura la battaglia che vide fronteggiarsi l’esercito romano e quello dei veienti e dei fidenati. Sotto un cielo cupo e tenebroso, a sinistra si affollano i soldati nemici, al centro ribolle la mischia, in mezzo alla quale si distingue, in primo piano, un guerriero caduto supino sul suo cavallo bianco. A destra il re Tullo Ostilio sul suo destriero si volta indietro verso un cavaliere che gli sta comunicando la ritirata verso la montagna degli albani, confederati dei romani. La composizione, che prende a riferimento la Battaglia di Costantino affrescata in Vaticano da Raffaello e Giulio Romano, da cui non mancano citazioni, è gremita di cavalli stesi al suolo e di cavalieri disarcionati, in un groviglio di corpi tipico del genere della battaglia, che incontrerà ulteriore fortuna nel corso del Seicento.
Il Cesari si è basato sulla descrizione dell’avvenimento riportata da Tito Livio (Ab Urbe condita, I, 27), raffigurando il momento in cui Tullo Ostilio ordina al suo esercito di tornare al combattimento e di alzare tutte le lance per coprire la fuga degli alleati, facendo credere al nemico che questi ultimi si stessero muovendo per accerchiarlo e propiziando così la vittoria dei romani. Tale circostanza è ancor più evidente nell’affresco del Campidoglio, che viene commissionato all’artista nel 1595 ma non viene portato a termine prima del 1601, dove con notevoli differenze compositive e un maggiore equilibrio spaziale, il pittore rappresenta nuovamente tutto il concitamento della feroce battaglia. L’affresco ebbe una vasta risonanza, tanto da essere preso a modello da tutti i pittori battaglisti dei decenni successivi (cfr, F. Zeri, La nascita della “Battaglia come genere” e il ruolo del Cavalier d’Arpino in La Battaglia nella pittura del XVII e XVIII secolo, Parma 1986, pp. IX-XXVII). La tela in esame – primo modello per l’affresco del Campidoglio terminato alcuni anni dopo con una maggiore maturità stilistica – anche in base alla dinamica e drammaticità dei movimenti e all’inquieta distribuzione dei toni chiari e scuri, potrebbe collocarsi tra il 1596 e il 1597, in un momento affine all’esecuzione della Cattura di Cristo, anch’essa conservata alla Galleria Borghese, inv. 356 (Röttgen 2002, pp. 304, 309).
L’opera proviene verosimilmente dallo studio del pittore insieme ad altri cinque dipinti di sua mano o riferiti al suo ambito – ancora presenti in Galleria Borghese – che dovettero far parte dei beni sequestrati all’artista nel 1607 per volere di Paolo V, a seguito dell’accusa di possesso illecito di armi. Con tale sequestro e la successiva donazione da parte del pontefice al cardinale nepote Scipione Borghese, quest’ultimo entrò in possesso di oltre cento dipinti appartenenti al Cavalier d’Arpino, molti dei quali possono essere identificati nell’odierno Museo. Nell’inventario del sequestro, quasi interamente mancante di attribuzioni, è menzionato un “quadro mezzano di una Battaglia senza cornice”, che può ben riferirsi al dipinto in esame. Un documento del 18 novembre 1611 attesta il pagamento a Vittorio Roncone “per una Cornice fatta al quadro della Battaglia del Cav.re Gioseppe” (cit. in Röttgen 1973, p. 89). Tale informazione, oltre a confermare il precoce ingresso della tela nella raccolta del cardinale, concorre a sostenere l’ipotesi della corrispondenza con l’opera confiscata nel 1607, descritta come priva di cornice. Questa supposizione è accolta anche da Herwarth Röttgen nonostante un passo di Karel van Mander, citato dallo studioso, farebbe piuttosto pensare ad una vendita effettuata direttamente dall’artista, che tuttavia non è altrimenti confermata (Röttgen 2002, p. 304). La successiva descrizione nell’inventario del 1693 è molto precisa e non lascia dubbi sull’identificazione: “un quadro di tre palmi in circa d'altezza con una Battaglia del Cav.re Gioseppe d'Arpino del No 457 cornice dorata”. Il numero 457 è ancora visibile sul dipinto, tra il cavallo e il guerriero caduti a terra in primo piano. L’attribuzione al Cesari è confermata anche nell’inventario fidecommissario del 1833 e non è mai stata messa in dubbio dalla critica. Nuove evidenze documentarie di prossima pubblicazione attestano che il dipinto fu venduto al mercante e collezionista Pietro Camuccini alla fine del Settecento, per poi essere riacquistato dal principe Camillo Borghese una ventina di anni dopo. Questa circostanza si lega da una parte alle famose dispersioni artistiche che coinvolsero le collezioni romane anche a causa delle difficoltà economiche incontrate alla fine del Settecento, dall’altra al tentativo di Camillo Borghese di colmare i vuoti della raccolta e di ripristinarne l’integrità una volta riassestate le finanze della sua famiglia.
Pier Ludovico Puddu