Il soggetto del dipinto, un tempo identificato con una sarta per la presenza delle forbici, è stato riconosciuto da Paola della Pergola con Atropo, una delle tre Parche, nota per recidere la vita e decretare la morte di ogni uomo. Di recente, tale proposta è stata rifiutata a favore di Berenice, la bellissima regina di Cirene che offrì in voto ad Afrodite la sua fluente chioma per ottenere il ritorno del marito da una campagna militare: il dono fu gradito agli dèi che lo fissarono in cielo, trasformandolo in una costellazione.
Salvator Rosa, 93,5 x 74 x 6 cm
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 12). Acquisto dello Stato, 1902.
La tela, di cui non si trova traccia prima del 1833, è segnalata per la prima volta in collezione Borghese negli inventari fidecommissari, descritta dall'estensore del documento come un ritratto del pittore viterbese Giovanni Francesco Romanelli. Assegnata da Adolfo Venturi (1893) a Simon Vouet, l'opera fu riferita da Roberto Longhi (1928) a un ignoto artista, sensibile ai modi di Guido Reni, operante a Roma verso il 1630-1640; e così pubblicata da Paola della Pergola (1955) nel catalogo dei dipinti della Galleria Borghese. Nel 2004, Massimo Pulini ha definitivamente messo un punto alla questione, riconducendo il dipinto al catalogo di Ginevra Cantofoli, pittrice bolognese formatasi nella città felsinea presso l'Accademia del disegno di Elisabetta Sirani. Secondo lo studioso, infatti, questa Berenice aderisce perfettamente alla produzione della Cantofoli, rivelando notevoli similitudini con la Ninfa marina (Milano, coll. Luigi Koelliker), come la posa sfuggente e lo sguardo acuto (Pulini 2006, p. 61).
Il soggetto del dipinto, interpretato come una sarta per la presenza delle forbici da Adolfo Venturi (1893), fu identificato da Paola della Pergola (1955) con la parca Atropo, la più anziana delle tre sorelle, dedita - secondo la mitologia - a recidere il filo della vita con lucide cesoie. Rifiutando tale lettura, nel 2004 Pulini ha debitamente corretto l'interpretazione del soggetto, riconoscendovi la figura di Berenice, la regina di Cirene che offrì ad Afrodite la sua fluente chioma per ottenere il ritorno del marito Tolomeo dalla guerra contro la Siria: il dono, apprezzato dagli déi, fu da questi portato in cielo e trasformato in una costellazione.
Secondo lo studioso (2006; Id. 2021), infine, la genesi di questo dipinto, difficilmente collocabile in anni precisi, è prossima a quella della Ninfa marina, da situare con buona probabilità intorno agli anni Sessanta, quando la pittrice ebbe un fecondo e fertile rapporto con Elisabetta Sirani.
Antonio Iommelli