Collezione di Scipione Borghese, Inventario ante 1633 (Archivio Apostolico Vaticano [AAV], AB 470, sesta stanza verso l'offitii); Manilli, 1650, p. 110; de Sebastiani, 1683, p. 25; inventario 1693, IX stanza; Catalogue des Objets d’art et d’Ameublement... 1892, n. 157. Mercato antiquario, acquisto della Galleria Borghese, 2020.
Entro un'ampia ambientazione di paesaggio un gruppo di figure dà vita a una festa campestre: un ballo, accompagnato dalla musica del liuto e della viola da braccio, organizzato da un gruppo di contadini, al quale assistono benevolmente alcune dame e signori del luogo, questi ultimi in veste di cacciatori. I personaggi sono seduti in cerchio, in una radura tra gli alberi accanto alla quale scorre un ruscello. Al centro, un giovane villano invita una dama ad aprire le danze. Lo sguardo scorre attraverso la varietà degli atteggiamenti dei personaggi: una dama un poco annoiata si rivolge verso la sua vicina, mentre sul lato opposto due donne si prendono cura di un bimbo; il suonatore di liuto si interrompe per prendere una delle fiasche poste a rinfrescare sulla riva, mentre un giovane probabilmente già ebbro, accanto alla fiasca vuota, si abbandona al sonno. Su un ponticello una donna conduce un bambino verso la festa, mentre nel paesaggio collinare, costellato di castelli, fattorie e una piccola chiesa, si disperdono alcuni gruppi di cacciatori e altri personaggi. Nello sfondo, uno specchio d’acqua solcato da alcune vele è illuminato dalla luce del crepuscolo mentre in alto, su un cielo oscuro e nuvoloso, si stagliano alcuni uccelli. Quando questo dipinto fu presentato nel 2008 a Londra, in un’asta di Bonham’s, era riferito a un anonimo artista bolognese. La sua alta qualità ha dato l’avvio a una densa serie di ricerche, che hanno messo in luce un momento significativo e originale dello sviluppo di questo genere di paesaggio con figure, di soggetto ameno, festoso o galante. Tuttavia nessuno dei pittori bolognesi noti per aver praticato questo genere sembrava potersi identificare in modo convincente con l’autore dell’opera. La sua restituzione alla mano di Guido Reni costituisce una delle più importanti e inattese scoperte degli ultimi anni, insieme a quella della sua documentata provenienza dalla collezione del cardinale Scipione Borghese. La vicenda storico-critica dell’opera è stata riassunta nella scheda di P. Matthiesen nel catalogo della esposizione di Guido Reni del 2017 (Londra, Matthiesen Gallery) e, da ultimo, da D. Benati nella scheda sul quadro nel catalogo di Fondantico, a cura di T. Sassoli, per Tefaf Maastricht 2020. Nelle prime ipotesi, ricercate tra i pittori specialisti del genere, sono stati proposti i nomi di Giovan Battista Viola o di Giovanni Maria Tamburini, presto abbandonati in favore di artisti come Sisto Badalocchio o Domenichino, attivi a Roma nel solco dei Carracci, dell’attività giovanile di Guercino, o ancora del Mastelletta, noto per le sue scene favolesche di paesaggio con figure. Un suggerimento interessante, in accordo con le tangenze carraccesche del dipinto, è stato avanzato da Aidan Weston-Lewis e da Nicolas Turner, che hanno riferito il dipinto ad Agostino Carracci, del quale è nota una produzione analoga e in particolare un dipinto con una Festa campestre, ricordato anche come Festa Milanese, eseguito verso il 1584 e conservato al Musée des Beaux-Arts di Marsiglia. Ipotesi presto scartata, nonostante le rilevanti assonanze, per ragioni stilistiche, che collocano il dipinto in prossimità con la pittura di Annibale e con suggestioni fiamminghe ma in un momento successivo. Una svolta decisiva proviene dal confronto istituito da Keith Christiansen con il piccolo rame di Guido Reni raffigurante un Riposo dalla fuga in Egitto, in collezione privata (già Londra coll. Coombs), proveniente dalla collezione Borghese: immediate le verifiche successive, a partire da quella di Weston-Lewis, che individuava anche il quadro con la Danza nell’inventario del Palazzo Borghese del 1693, nella IX stanza, e di E. Fumagalli che lo ritrovava elencato in un inventario dalla stessa collocato post 1620 – 1615-30 in S. Corradini, 1998 e oggi ritenuto ante 1633 –, nella "sesta stanza verso l’offitii" nonché la citazione nella descrizione della villa di Iacomo Manilli nel 1650. A questi si aggiungono ulteriori riferimenti individuati nella presente occasione. Il dipinto compare dunque per la prima volta nell’inventario delle opere possedute da Scipione Borghese negli anni Trenta del Seicento: “Un quadro in tela d'un Ballo di diverse contadine, e contadini alla lombarda cornice negra con oro, alto 3 1/4 largo 4, Albano”. Riferito erroneamente ad Albani in questo inventario piuttosto remoto, la definizione che ne viene data, “alla lombarda”, si attaglia al soggetto dell’opera, un tipo di festa danzante così detta, come nel già ricordato dipinto di Agostino. Il soggetto, così come le misure, consentono un riconoscimento piuttosto certo. L’attribuzione è presto corretta nella descrizione della villa di Manilli del 1650: “L'altro d'un Ballo di villa, è di Guido Reni”; lo stesso ritroviamo ora nella descrizione del Palazzo nel Viaggio curioso di Pietro de’ Sebastiani del 1683, che cita “Il ballo di Villa di Guido Reni”. Il quadro è quindi descritto nel citato inventario del 1693, “quadro in tela con un Paese con molte figure figurine con un ballo in Campagna alto p.mi 3 e mezzo Cornice dorata del N.°(sic) di Guido Reni”. Sia nelle due descrizioni del 1650 e del 1683, sia nell’inventario del 1693 si ricorda anche l’altro quadretto di Reni già citato, il Riposo durante la fuga in Egitto. Nell’inventario del 1693 il numero – come avviene in diversi casi – è lasciato in bianco; tuttavia attualmente, all’osservazione diretta dell’opera è stato possibile individuare sul fronte, in basso a destra, la presenza del numero 456 tracciato in bianco a pennello, in una modalità simile a quanto è possibile osservare nei dipinti numerati nell’occasione del suddetto inventario. Non è stato invece reperito, allo stato, un riferimento ascrivibile al numero 115 tracciato sul retro della tela, da individuarsi con probabilità in una collocazione successiva. L’opera non sembra rintracciabile negli inventari successivi, fino alla sua nuova individuazione nel catalogo della vendita, avvenuta nel 1892 in Palazzo Borghese, di numerosi pezzi della collezione. Questa lunga assenza potrebbe forse trovare una spiegazione nell’evoluzione del gusto. Considerata ormai inattuale, a partire dal XVIII secolo l’opera potrebbe probabilmente aver trovato una collocazione secondaria all’interno delle residenze di famiglia, fino alla sua alienazione. La scena, del cui autore si era persa memoria, nel catalogo di vendita viene riferita a scuola fiamminga e descritta nel dettaglio: “ECOLE FLAMANDE. XVII siècle. 157. - LA CHATELAINE. De nombreux personnages, dames, mousquetaires, paysans et paysannes entourent la châtelaine vêtue d'un riche costume et portant un col à dentelles; elle invite un paysan à danser le minuet. Fond de collines avec chateau et maisons. Montagnes à l'horizon. Cadre. Toile en largeur, m. 0.76 X m. 0.98.” Non si hanno finora altre notizie fino alla ricomparsa del quadro a Londra, in un’asta di Bonham’s del 19 luglio 2008, n. 101. Successivamente l’opera è stata esposta a Tefaf, Maastricht, 2020. La consuetudine di Reni con il paesaggio era in passato pressoché sconosciuta; non ne fanno menzione le fonti, mentre emergono le sue prove nei generi maggiori, di tono elevato e ideale. Come le recenti ricerche hanno avuto modo di verificare, nei primi anni del suo soggiorno romano il pittore si dedica anche a questo genere, del quale è emerso qualche ulteriore esempio, come il Paesaggio con scherzi di amorini, di poco successivo alla Danza, pubblicato da F. Gatta nel 2017. Fu un genere trattato limitatamente dall’artista, in parallelo con la sua elaborazione di una pittura di figura e di storia adatta alle pale d’altare e alle decorazioni ad affresco praticata sin dagli anni giovanili, probabilmente presto abbandonato. Reni trova i suoi modelli nell’ambiente bolognese. Oltre al dipinto citato di Agostino, è diretto il riferimento a Ludovico e soprattutto ad Annibale e alle sue prove nel campo del paesaggio, come agli echi delle eleganti scene ambientate nei paesaggi di Nicolò dell’Abate. Una cultura ancora lontana dalla genesi di quel paesaggio ideale con figure, avviato da Annibale con la Fuga in Egitto dipinta per le cosiddette lunette Aldobrandini nel 1602-03 (Roma, Galleria Doria Pamphilj) e ripreso in seguito dai due compagni di Guido, Domenichino e Francesco Albani, che porrebbe dunque la Danza campestre di Guido negli anni 1601-02. Appena giunto a Roma, il pittore si presenta ai propri committenti con la consapevolezza della propria abilità. A questo sembra voler fare riferimento un particolare del dipinto: in alto, nel cielo, due mosche a grandezza naturale si posano in alto sulla tela, quasi a voler sollecitare l’osservatore a scacciarle con la mano. Oltre che a un gusto diffuso per il trompe l’oeil, il dettaglio non può non far pensare alla leggendaria capacità di mímesis dell’arte evidenziata sin dall’antichità, da Filostrato e da Plinio il Vecchio, o più recentemente da Vasari su Giotto, del quale si narra che dipinse una veritiera e ingannevole mosca sul naso di una figura di Cimabue. L’acquisizione di quest’opera per la Galleria Borghese, proprio per la sua documentata provenienza dalla collezione del cardinale Scipione costituisce una integrazione storica del patrimonio del museo; d’altra parte, il suo rinvenimento consente di precisare ulteriormente la fondamentale importanza della committenza Borghese per Guido Reni. Il Cardinale, infatti, desiderava fare di Reni il suo pittore di corte considerandolo, dopo la morte di Annibale Carracci, l’artista più importante presente sulla scena romana. A lui la famiglia Borghese, nella persona del papa, Paolo V, affidò la decorazione di due sale nei palazzi Vaticani, degli affreschi della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e in seguito della cappella nel palazzo pontificio del Quirinale; Scipione Borghese fu committente del Martirio di sant’Andrea in S. Gregorio al Celio e di uno dei massimi capolavori del pittore, l’Aurora nel casino ora Pallavicini-Rospigliosi, quando questo era la prima impresa edile e residenza del cardinale. Sono più d’una le opere dell’artista che facevano parte della collezione, a conferma di questa predilezione; oltre a quelle citate, si può ricordare la Santa Cecilia, di qualche anno successiva, conservata nel Norton Simon Museum di Pasadena e tuttora la Galleria possiede un’altra importante opera di Guido Reni, di tipologia e soggetto del tutto differenti, riferibile alla maturità dell’artista, il Mosè con le tavole della Legge. Questa opera di paesaggio contribuisce quindi a integrare in parte ma in maniera puntuale il percorso artistico e i diversi ambiti di ricerca sperimentati dall’artista bolognese, nella maniera in cui furono seguiti, nel loro sviluppo e nella loro fortuna, dallo sguardo e dall’interesse collezionistico del committente.
Simona Ciofetta