Anziano, di aspetto robusto, il cardinale Domenico Ginnasi rivolge verso destra uno sguardo severo e interrogativo, ha la bocca aperta asimmetricamente, come se bisbigliasse, i peli della barba sono raffigurati con riccioli ben definiti sul mento, mentre sono più leggeri sulle guance, dove sembrano lasciar trasparire la pelle. A capo scoperto, il cardinale indossa la mozzetta, sbottonata nella parte alta, mossa da ampie pieghe che definiscono la posizione delle braccia e terminante in basso con un’accentuata curvatura.
L'opera, databile verso il 1630, è stata rinvenuta all'inizio del XX secolo nel convento di S. Maria della Vittoria. Attribuita in passato a Gian Lorenzo Bernini e ad Alessandro Algardi, è considerata oggi piuttosto opera di Giuliano Finelli.
Sguardo severo e bocca leggermente aperta come se stesse bisbigliando o pregando, il cardinale Domenico Ginnasi è ritratto a capo scoperto, con indosso una mossa mozzetta terminante in basso in un’accentuata curvatura. Il volto risulta ben dettagliato nella barba, che presenta riccioli ben definiti grazie ad un sapiente uso del trapano, e nei tratti del volto, con le rughe ben evidenziate che ne rendono viva l’espressività.
Influente e colto prelato di origini bolognesi, che in due conclavi – nel 1605 e nel 1623 – arrivò ad essere indicato come possibile papa, Domenico Ginnasi si distinse anche per il mecenatismo artistico e per le iniziative di beneficenza. A Roma, in un'ala del suo palazzo in via delle Botteghe Oscure, fece edificare una chiesa dedicata a S. Lucia, e in un'altra ala, nel 1635, fondò il monastero femminile del Corpus Domini aderente dalla regola carmelitana (Brunelli 2001, p. 23-26). Proprio dal monastero delle “Ginnasie” proviene probabilmente questo busto, che nel 1757 seguì le suore nella nuova sede adiacente la chiesa dei Ss. Pietro e Marcellino e che fu da esse infine donato alla chiesa di S. Maria della Vittoria, quando la piccola comunità fu spostata definitivamente a Fano.
Il busto fu rinvenuto nel 1911 da Giulio Cantalamessa, direttore della Galleria Borghese, nel convento dei carmelitani di S. Maria della Vittoria e fu da lui identificato con il cardinale Domenico Ginnasi, così come conferma il confronto col ritratto che Giuliano Finelli eseguì per la tomba del cardinale nella chiesa di S. Lucia alle Botteghe Oscure.
Si tratta di un’opera di considerevole qualità la cui vicenda attributiva è stata resa particolarmente complessa dalla mancanza di fonti documentarie o a stampa, da imputare anche al fatto che è stata custodita per secoli da suore di clausura. Cantalamessa lo riteneva opera di Gian Lorenzo Bernini eseguita nel 1620, e rifiutava l’ipotesi che potesse essere stato eseguito dal Finelli alla luce del confronto col ritratto eseguito dallo scultore toscano per la tomba del cardinale (1911, pp. 81-88).
Muñoz nel 1916 mantiene l’attribuzione a Bernini, ma ne colloca l’esecuzione verso il 1630 per via della linea mossa che lo conclude nella parte inferiore e che lo allinea ai più celebri ritratti prodotti dallo scultore in quegli anni (p. 106); lo stesso studioso, sulla base di un confronto con un busto di ignoto conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, lo attribuisce in seguito ad Alessandro Algardi (1923, p. 694). Il busto è stato esposto nel 1930 alla mostra di Roma seicentesca con l’attribuzione a Giuliano Finelli (Mostra, p. 15, n. 48). Concordi ancora con l’attribuzione al maestro bolognese, sono De Rinaldis (1935, p. 34) e Della Pergola (1951, p. 51 ss.). Nava Cellini nel 1960 ha ricondotto l’opera nel catalogo del Finelli, evidenziandone lo stile insistito e inciso tipico del carrarese (p. 15), attribuzione che è stata confermata da Montagu nel 1999, portandone a prova la tendenza a scolpire i capelli in blocchi piuttosto grossolani, e i riccioli della barba minuziosamente eseguiti con largo e sapiente uso del trapano (p. 65).
Sonja Felici