Proveniente dal Palazzo Borghese di Campo Marzio, dove, con gli altri quindici che componevano la serie, decorava la galleria, il busto raffigurante Marco Vipsanio Agrippa è esposto nella sala IV della Villa Pinciana sicuramente dal 1832. La testa, eseguita in porfido rosso, è montata su un busto in alabastro orientale.
Il generale romano, braccio destro di Augusto, è rappresentato con un sostanziale rispetto della fisionomia nota, al netto delle rigidezze che caratterizzano le opere in porfido, dettate dalla durezza del pregiato materiale in cui è scolpito.
La serie, datata dalla critica al XVII secolo, è espressione del gusto dell’aristocrazia, che amava esporre i busti dei grandi personaggi della romanità nei saloni di rappresentanza dei propri palazzi
Il volto di Agrippa, girato leggermente verso sinistra, presenta arcate sopracciliari piuttosto marcate, la fronte solcata da rughe, labbra ben definite dal prolabio accentuato. Il mento, sporgente, è solcato da una fossetta. Indossa il paludamentum appuntato sulla spalla destra con una fibula tonda e drappeggiato in pieghe schiacciate che riproducono l’andamento di quelle presenti in alcuni dei busti della serie attribuita a Giovanni Battista della Porta (inv. LIII). Sulla spalla destra, la corazza assume la foggia di una testa leonina.
I tratti somatici sono caratteristici dell’iconografia di Marco Vipsanio Agrippa, nota attraverso numerosi busti antichi, di cui il paludamentum – mantello che veniva indossato da un generale romano quando comandava l’esercito – era complemento necessario, dal momento che si trattava del generale che aveva guidato le proprie truppe alla conquista dell’Egitto nel 30 a.C. Se i lineamenti del volto sembrano risentire direttamente di un precedente romano, quale il busto donato da papa Pio IV a Lorenzo de’ Medici nel 1471 (Firenze, Galleria degli Uffizi), discordante con le immagini antiche di Agrippa è la capigliatura, che non presenta le consuete ciocche di capelli distribuite sulla fronte, ma è contraddistinta da calvizie.
L’opera è esposta nella sala IV della Galleria Borghese insieme ad altri 15 busti in porfido e alabastro provenienti dal Palazzo di famiglia in Campo Marzio, dove erano collocati nella Galleria all’interno di una decorazione in stucco eseguita da Cosimo Fancelli tra il 1674 e il 1676. Stando ai documenti conservati nell’Archivio Borghese la serie era composta dai “Dodici Cesari” con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito (ASV, AB, b. 5688, n. 15, pubblicati in Hibbard 1962, appendice, doc. I, pp. 19-20). Nel 1830 Nibby li identifica– ancora in Campo Marzio – come “16 busti con teste di porfido, rappresentanti i 12 Cesari e 4 consoli”, e due anni dopo, quando ormai sono esposti lungo le pareti della sala IV, li elenca come Traiano, Galba, Claudio, Otone, Vespasiano (2 esemplari), Scipione Africano, Agrippa, Augusto, Vitellio (2 esemplari), Tito, Nerone, Cicerone, Domiziano, Vespasiano, Caligola e Tiberio. Se l’ultima citazione – comprendente anche un secondo Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore – è quella che corrisponde allo stato attuale della serie (e trova conferma nell’Inventario Fidecommissario del 1833), resta difficile comprendere che fine abbiano fatto i ritratti di Cesare, Tito e Nerva, presenti nel 1674-76 e non più rintracciabili nella serie attuale, chi fosse il quarto console indicato da Nibby nel 1830, dal momento che oggi ve ne sono solo tre (Agrippa, Cicerone e Scipione Africano) e quale sia la provenienza di questi ultimi. Appare quindi ipotizzabile che i busti utilizzati nella galleria – già presenti nel Palazzo Borghese – non corrispondessero ai personaggi previsti nel programma iconografico della volta e che da questa difformità possano essere derivati i successivi errori di identificazione delle fonti. In tale scenario il busto di Agrippa, ipotizza Hibbard, potrebbe essere stato utilizzato al posto di quello di Giulio Cesare (1962, p. 11 n. 12). In accordo con queste possibili sostituzioni è anche la datazione dell’insieme, che la critica è concorde nel ritenere eseguito contemporaneamente, nel XVII secolo (Faldi 1954, pp. 16-17; Della Pergola, 1974; Moreno, C. Stefani, 2000, p. 129; Del Bufalo 2018, p. 116).
Sonja Felici
Sonja Felici