Il dipinto faceva parte del gruppo di opere d’arte sequestrate al Cavalier d’Arpino nel 1607 e poi confluite nella collezione del cardinale Scipione Borghese. Si tratta di un’opera che segna gli esordi della natura morta, genere di grande successo in tutto il secolo e praticato soprattutto da pittori olandesi e fiamminghi. L’esattezza con cui sono descritte le differenti specie di uccelli, allineati sui ganci o distesi sul tavolo, fra i quali si inserisce l’unico elemento vivente, la civetta, ha fatto pensare ad un maestro fiammingo, nonché al più geniale interprete italiano della natura morta all’inizio del Seicento, il giovane Caravaggio. L’affinità stilistica con una natura morta conservata nel museo americano di Hartford, da cui deriva il nome convenzionale del suo ignoto autore - Maestro di Hartford - ha portato a considerare quest’ultimo come l’artefice del quadro Borghese, ipotesi che ha ampiamente alimentato il dibattito critico degli ultimi decenni.
Il dipinto rappresenta una natura morta di uccelli tra cui si distinguono diverse specie, alcuni appesi ad un’asta che corre lungo la parte superiore della scena, altri disposti orizzontalmente su vari livelli. La varietà di volatili rappresentati è resa con meticolosità ed attenzione ai particolari morfologici che caratterizzano le differenti specie. Unico elemento vivente della composizione è la civetta ripresa frontalmente nella parte sinistra del quadro.
L’opera viene per la prima volta riferita al Maestro di Hartford da Federico Zeri (1976, pp. 92-103) negli anni Settanta, in ragione delle sue affinità stilistiche con il “namepiece” del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, la Natura morta con frutta, cesto e vasi di fiori.
Il riferimento al Maestro di Hartford suggerito da Zeri coinvolge anche il Vaso di fiori, frutta e ortaggi, anch’esso in collezione Borghese (inv. 54), riconosciuto come pendant della Cacciagione.
Nello stesso contesto, lo studioso propone di identificare l’artista con il giovane Caravaggio nel periodo della sua frequentazione della bottega romana del Cavalier d’Arpino, in un lasso di tempo che fino a pochi anni fa si pensava corrispondere alla seconda metà del 1593 ma che è stato di recente rivisto alla luce di nuove evidenze documentarie, portando ad uno spostamento in avanti di circa tre anni (per un approfondimento R. Gandolfi, A. Zuccari, I primi anni di Caravaggio, in Dentro Caravaggio, cat. mostra (Milano, Palazzo Reale, 2017-2018), a cura di R. Vodret Adamo, Milano 2017, pp. 249-260).
La tela con Cacciagione da penna e civetta viene infatti rintracciata da Paola Della Pergola (1959, II, p. 170, n. 248) nell’elenco di quadri sequestrati al Cavalier d’Arpino da Paolo V nel 1607, e poi donati dallo stesso al cardinal nepote Scipione Borghese. In base alla descrizione, il dipinto corrisponde al n. 38 dell’inventario, privo di attribuzioni, dove è citato come “Un quadro con diversi Uccellami morti senza cornici”. La studiosa segnala inoltre un pagamento del 1619 ad Annibale Duranti per tre cornici, di cui una per un dipinto “dove sonno l’uccelli diversi morti”, soggetto che in collezione Borghese è riferibile solo alla tela in esame. In quella occasione, Della Pergola assegna il quadro ad un anonimo maestro fiammingo attivo nella seconda metà del XVI secolo, e non vi collega il suo pendant Vaso di fiori, frutta e ortaggi, attribuito invece a Karel Van Vogelaer (1959, II, p. 191, n. 287). È poi Zeri (cit.) ad individuare quest’ultimo dipinto alla voce immediatamente seguente a quella della Cacciagione nel medesimo inventario, in cui propone di riconoscere anche, rispettivamente ai numeri 47 e 96, il “namepiece” di Hartford e l’Allegoria della Primavera (collezione Francesco Micheli), dipinto anch’esso riferito allo stesso artista e che all’epoca risultava non finito, privo delle figure che verranno aggiunte successivamente da Carlo Saraceni.
Individuata la bottega del Cesari come contesto di riferimento, la proposta di Zeri di attribuire a Caravaggio le opere fino a quel momento raggruppate intorno alla natura morta del Museo di Hartford, comprese le due tele Borghese, si basa anche sulla lettura delle fonti artistiche del periodo, in particolare del celebre passo di Giovanni Pietro Bellori: “[Caravaggio] dalla necessità costretto andò a servire il Cavaliere Giuseppe d’Arpino, da cui fu applicato a dipingere fiori, e frutti si bene contraffatti, che da lui vennero à frequentarsi à quella maggior vaghezza, che hoggi tanto diletta. Dipinse una caraffa di fiori con le trasparenze dell’acqua, e del vetro, e co’ i reflessi della fenestra d’una camera, sparsi li fiori di freschissime rugiade, & altri quadri eccellentemente fece di simile imitatione.” (Bellori [1672] 2009, p. 213). Nella tela descritta nell’ultima parte della citazione, tra l’altro, lo studioso pensa si possa riconoscere un’opera non dissimile dalla già citata Allegoria della Primavera.
Nel corso dei decenni successivi alla pubblicazione della tesi zeriana, la critica è tornata più volte sulla questione senza tuttavia arrivare mai a sciogliere definitivamente i dubbi sull’identità del misterioso autore delle still life. Alcuni studiosi, come Maurizio Calvesi (“L’Espresso”, 11 febbraio 1979), rifiutano di riconoscere la mano del Caravaggio dietro le due nature morte Borghese, altri mostrano delle aperture verso questa possibilità, talvolta ridimensionandola ad una partecipazione dell’artista nell’ambito di un’esecuzione collettiva. Quest’ultima proposta viene formulata da Maurizio Marini (1984, pp. 12-13) inizialmente per il solo Vaso di fiori, frutta e ortaggi, in stretta relazione con la natura morta di Hartford, ipotizzando in entrambe le opere la presenza del giovane Merisi e di almeno un altro artista, forse Bernardino Cesari o Francesco Zucchi. A quest’ultimo, fratello del più noto Jacopo, lo studioso ritiene di poter attribuire anche gli altri dipinti riferiti al Maestro di Hartford, compreso Cacciagione da penna e civetta. Nel corso degli anni, Marini non si distacca dall’idea che il gruppo Hartford sia da contestualizzare nell’ambito della bottega del Cavalier D’Arpino e che più in generale sia frutto di quelle collaborazioni abituali nella prassi di tali ambienti (Marini 2005, pp. 369-370)
Nel 1993 Minna Heimbürger (1993, pp. 69-84) riferisce entrambi i quadri a Frans Snyders e in particolare per la Cacciagione propone un suggestivo confronto con il dipinto Uccelli dell’artista fiammingo (Aachen, Suermondt-Ludwig-Museum), in cui spicca, proprio come in quello Borghese, una civetta viva. Tuttavia, sul piano stilistico appare ben chiara la diversità di linguaggio tra le due nature morte, come ben rilevato da Alberto Cottino (1995, pp. 118-119, nn. 18-19) in occasione della mostra La natura morta al tempo di Caravaggio (Roma, Musei Capitolini, 1995); lo studioso si pone come convinto sostenitore della paternità italiana delle tele Borghese, nonché della loro stretta appartenenza al mondo caravaggesco. Anche Kristina Herrmann Fiore (2000, pp. 63-64), nella sua disamina della quadreria del Cavalier d’Arpino, conferma il legame delle opere Borghese con il mondo caravaggesco ma esclude la partecipazione diretta del Merisi, a cui associa un diverso approccio nella copia del naturale e nel trattamento della luce.
Ulteriori ipotesi hanno messo in campo il nome di Prospero Orsi detto Prosperino delle Grottesche, a cui si è pensato di ricondurre l’identità del Maestro di Hartford, tesi verso cui molti studiosi hanno dimostrato una certa apertura (Strinati 2001, p. 16; Spezzaferro 2002, pp. 31-32; Whitfield 2007, p. 11; Schifferer 2009, p. 175; Gregori 2009, p. 168), ma c’è anche chi ha riconosciuto nelle tele Borghese una sostanziale diversità rispetto alle altre nature morte del gruppo Hartford, attribuendole ad una diversa mano, ignota (Markova 2000, pp. 52-55).
A prescindere dalla complessa questione attributiva, almeno due elementi certi possono essere riferiti al quadro Cacciagione da penna e civetta. Primariamente la data limite della sua esecuzione, corrispondente al 4 maggio 1607, giorno del sequestro fatto ai danni del Cavalier d’Arpino. In secondo luogo l’elaborazione del dipinto a pendant del Vaso di fiori, frutta e ortaggi, elemento già intuito da Zeri ma non sempre accolto all’unanimità. La concezione unitaria delle due opere trova oggi una definitiva conferma grazie alle indagini diagnostiche eseguite da Davide Bussolari (2016, pp. 279-289) in occasione della mostra L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il maestro di Hartford (Roma, Galleria Borghese, 2016-2017). Gli esami non invasivi hanno infatti rivelato la corrispondenza di alcuni dettagli tecnici comuni ai due dipinti, come la tipologia e la tramatura delle tele, entrambe realizzate con l’unione di due pezze ciascuna, e persino lo stesso metodo di cucitura. In origine i due dipinti dovevano essere di identiche dimensioni, oggi leggermente variate a causa di alcuni tagli di cui non è noto il contesto di esecuzione.
Oltre all’occasione di eseguire le indagini diagnostiche che hanno arricchito la conoscenza della Cacciagione di penna e civetta e del suo pendant, la mostra ha permesso anche che le quattro opere individuate da Zeri nell’inventario del sequestro d’Arpino e ascritte al Maestro di Hartford (la coppia di tele Borghese, la natura morta di Hartford e l’Allegoria della Primavera) fossero riunite per la prima volta dopo oltre quattro secoli di storia, offrendo un’ulteriore occasione di riflessione sull’attività di questo artista la cui identità è ancora ignota.
Pier Ludovico Puddu