Il candelabro si compone di frammenti riuniti in età moderna, tra i quali risultano antichi il tamburo con un ricco ornato vegetale di girali di acanto e il fusto decorato da una elegante strigilatura racchiusa, superiormente e inferiormente, da due corone di foglie acantacee stese verso l’alto. La scultura è menzionata nel 1832 nella sala VI e successivamente, nel 1840, nel Portico. In occasione della riapertura del Museo Borghese nel 1997 è definitivamente collocata nel Salone dove risulta tuttora.
Nonostante i massicci interventi ottocenteschi, i frammenti antichi sembrano potersi inquadrare indicativamente tra il I-II secolo d.C.
Collezione Borghese, citata per la prima volta nella sala VI dal Nibby nel 1832 (p. 107); Inventario Fidecommissario Borghese (1833, C., p. 50, n. 135). Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura è menzionata nella sala VI dal Nibby nel 1832: “in mezzo alla sala ergesi un gran candelabro di marmo lunense, alto palmi 15, tutto compreso, ornato di maschere, arabeschi, fogliami” (p. 107). Successivamente, nel 1840, è spostato nel Portico, dove è ricordato nelle Indicazioni come “gran candelabro di marmo lunense” (1840, p. 21, n. 1; 1854 p. 5, n. 1). Prima della riapertura del Museo, nel 1997, la scultura è collocata nel salone, dove è tuttora visibile.
Il candelabro è composto dall’unione di vari frammenti, antichi e moderni, secondo il Moreno avvenuta nell’Ottocento (Moreno, Viacava 2003, pp. 133-135, n. 100). Le sezioni da ritenere antiche sono, molto probabilmente, il tamburo decorato da un ricco fregio di girali di acanto e il fusto strigilato racchiuso fra due corone di foglie acantacee. Mentre sembrano moderni il plinto poligonale, la base decorata con maschere, il tamburo baccellato con le relative cornici, la fascia con maschere e leoni, l’elemento troncoconico a due ordini di foglie d’acqua capovolte, la corona di foglie nella medesima posizione con il piccolo kyma, il coronamento con foglie di acanto volte verso destra e il bocciolo soprastante. In un disegno settecentesco di Percier e Fontaine il tamburo risulta collocato al di sotto di un analogo candelabro (inv. XXX) presente nella collezione Borghese (Percier, Fontaine 1809, p. 18, tav. XX). Da tale scultura sembra essere stata imitata la lavorazione a baccellature moderna. Nella sistemazione ottocentesca dei due elementi si decise infatti di reimpiegare in ciascuno alcuni pezzi antichi, provenienti forse da un unico monumento originario.
L’ornato vegetale del tamburo è composto da ricchi tralci di acanto avviluppati su sé stessi e terminanti in una rosetta a quattro petali. I racemi sorgono da un cespo di acanto, ricorrente ogni due spirali. Il fusto decorato da strigilature incise è delimitato nella parte superiore e inferiore da un motivo a foglie di acanto dal rilievo poco pronunciato e rivolte verso l’alto. Tale ornato trova confronto in un pilastro vegetale custodito nel Palazzo dei Conservatori (Stuart Jones 1926, p. 223, n. 20) e in un secondo rinvenuto nel 1875 sull’Esquilino (Visconti 1876, p. 248, n. 36).
L’arbitraria ricomposizione moderna ha compromesso una puntuale lettura dei frammenti antichi che sembrano potersi inquadrare indicativamente tra il I-II secolo d.C.
Giulia Ciccarello