Il dipinto, confluito nella raccolta Borghese nella seconda metà del Settecento, fu eseguito dall’artista bolognese Lionello Spada probabilmente intorno al 1615, poco dopo il rientro nella sua città natale da un soggiorno a Malta e forse anche a Roma. L’opera risente della lezione caravaggesca, come dimostra la resa naturalistica, ma rielaborata in chiave meno drammatica e con uno spiccato gusto per il dettaglio.
Nonostante il tradizionale titolo Concerto, la scena rappresenta il momento precedente alla vera e propria esibizione, durante il quale il maestro distribuisce gli spartiti ai musicisti intenti ad accordare i propri strumenti.
‘800 (con kymation, listello e perline) cm. 171 x 210 x 13,5
Roma, collezione Maffeo Barberini (?), 1623; Roma, collezione Camillo Pamphilj, 1743; Roma, collezione Borghese, 1769; Roma, collezione Pietro Camuccini, 1816; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 14, n. 43. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è attestato nella collezione Borghese a partire dall’elenco fidecommissario del 1833, dove è descritto come “Concerto di musica, di Leonello Spada, largo palmi 8, alto palmi 6, oncie 4”.
Non si conoscono dati certi sulla provenienza del quadro, di cui è emersa la possibile corrispondenza con una “Musica” di Lionello Spada nell’inventario di Maffeo Barberini del 1623, anno della salita al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII (Negro, Roio 2002, p. 126, n. 58).
Tuttavia in anni recenti Andrea De Marchi ha chiarito la modalità dell’ingresso del quadro nella collezione Borghese, avvenuto a causa dell’errato coinvolgimento nel contenzioso sorto nel tardo Seicento tra i Borghese e i Pamphilj in merito all’eredità Aldobrandini.
Il dipinto, ritenuto parte di quella controversia, fu assegnato ai Borghese, confluendo per questa via nella raccolta di famiglia negli anni Sessanta del Settecento, ma la sua estraneità alla vicenda emerge chiaramente dall’inventario Pamphilj del 1747, dove è citato un quadro con “varie figure che fanno concerto di musica, opera di Lionello Spada napolitano […] lasciato legato al sudetto Principe Camillo dal cardinale della Mirandola nell’anno 1743” (cit. in De Marchi 2014, p. 243, nota 6).
Le vicende collezionistiche del Concerto non si esauriscono con il suo trasferimento ai Borghese, data la recente ricostruzione di un ulteriore passaggio di mani attestato nei documenti del mercante d’arte Pietro Camuccini. Dall’analisi del registro commerciale e delle ricevute di compravendita emerge infatti che Camuccini avesse acquistato il Concerto nel 1816 da un altro personaggio attivo sul mercato romano, per poi rivenderlo al principe Camillo.
Il dipinto dovette quindi essere alienato dai Borghese alla fine del Settecento, verosimilmente durante i difficili anni della Repubblica Romana, e finì, tramite uno o più passaggi ulteriori, nelle mani di Camuccini, da cui successivamente Camillo lo riacquisì. Nello stesso periodo, anche altri quadri della raccolta Borghese furono oggetto di simili passaggi (alienazione e successiva riacquisizione), lasciando emergere la tendenza di Camillo a ricomprare, laddove possibile, le stesse opere già immesse sul mercato quando la sua famiglia fu costretta a sopperire alle difficoltà legate a quel particolare momento storico (Puddu 2017/18, pp. 176-182).
La cronologia generalmente accettata per la realizzazione dell’opera oscilla intorno alla metà degli anni Dieci, dopo il rientro dell’artista a Bologna, sua città natale, successivamente ad un viaggio a Malta (1609-1610) e ad un presunto soggiorno a Roma (Bonfait 1988, pp. 358-359; Loire 1996, pp. 346-351; Negro, Roio 2002, p. 126, n. 58).
Nonostante il titolo tradizionalmente assegnato all’opera, la scena rappresenta il momento precedente al concerto vero e proprio, durante il quale i musicisti accordano i loro strumenti sulla scorta delle indicazioni del maestro, visibile sulla destra nell’atto di consegnare ad ognuno gli spartiti. I personaggi, numerosi e ravvicinati tra loro, tendono a sovrapporsi entro lo spazio della tela, in un’atmosfera concitata e quasi caotica tipica di una sorta di “prova d’orchestra”.
Il contatto con l’opera caravaggesca è evidente nella tendenza al naturalismo, che tuttavia l’artista declina in un’accentuata carica espressiva dei personaggi e in un gusto per il dettaglio da cui deriva una sovrabbondanza di elementi decorativi. L’artista ritrae con immediatezza un brano della vita sociale dell’epoca, soprattutto grazie alla resa minuziosa dei costumi e alla restituzione fedele della prassi musicale (Economopoulos 2000, p. 168; Pirondini 2002, p. 41; Quagliotti 2007, p. 97).
Il dipinto si presta anche ad una interpretazione allegorica secondo cui le figure di musici e cantori di diversa età rappresenterebbero le diverse fasi della vita in rapporto all’esperienza amorosa, in linea con associazioni tematiche diffuse nella pittura veneta ed emiliana del Cinquecento. Dal giovane all’estrema destra del dipinto, che per il suo ruolo marginale sembra non essere ancora stato iniziato alla musica, e quindi all’amore, fino al più maturo maestro che distribuisce gli spartiti, metafora della sua conoscenza (Economopoulos cit.).
Lionello Spada affrontò il tema del concerto anche in un altro dipinto eseguito per il cardinale Ludovico Ludovisi, successivamente appartenuto al re di Francia Luigi XIV ed oggi conservato al Louvre di Parigi. Di simili dimensioni rispetto alla tela Borghese ed eseguita in un momento ad essa ravvicinato, questa seconda versione appare più equilibrata nella composizione, con soli quattro personaggi invece di sette, e più armonica dal punto di vista del movimento e della carica decorativa dei dettagli (Negro, Roio cit.).
Pier Ludovico Puddu