Venere nella fucina di Vulcano (o l'Estate)
(Bologna 1578 - 1660)
Questo dipinto fu eseguito da Francesco Albani per il cardinale Scipione Borghese che nel 1622 acquistò l'intera serie - composta da quattro tondi - raffigurante il tema dell'amore attraverso le storie mitologiche di Venere e Diana. L'opera, dai caldi toni estivi, segue La toeletta di Venere (inv. 40) e rappresenta la dea della bellezza, in visita all'officina di Vulcano, mentre alcuni amorini sono intenti a forgiare le armi che trafiggeranno i cuori indifesi delle loro povere vittime. In alto, circondata dalle ancelle, si riconosce Diana, dea della caccia, che osserva con sdegno un gruppo di puttini, intenti a colpire un cuore, dipinto su uno scudo e appeso per l'occasione ad un albero. Con buona probabilità, il dipinto – così come l’intero ciclo – trae ispirazione dalle Eikones di Filostrato di Lemno, in cui si raccontano i giochi degli amorini nelle quattro stagioni dell'anno.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Misure
Cornice
Cornice ottocentesca decorata con loto e palmette.
Provenienza
Roma, cardinale Scipione Borghese, 1622 (Della Pergola 1955, p. 15); Inventario 1693, Stanza IV, n. 221; Parigi, 1803-1816; Roma, collezione Borghese, 1816; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 11. Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
- 1985 Roma, Palazzo Venezia;
- 1988-1989 Roma, Palazzo Venezia;
- 1996-1997 Lecce, Fondazione Memmo;
- 1992 Roma, Palazzo delle Esposizioni.
Conservazione e Diagnostica
- 1908 Luigi Bartolucci (piccole reintegrazioni);
- 1937 Carlo Matteucci (rafforzamento del colore, eliminazione degli ossidi delle vernici, fissaggio della tela, pulitura);
- 1960-1961 Renato Massi (restauro completo della tela);
- 1962-1963 Alvaro Esposti (foderatura, pulitura);
- 1996-1997 Paola Tollo (restauro completo della tela e della cornice);
- 2006-2007 Paola Tollo (sostituzione telaio, consolidamento, rimozione ridipinture, verniciatura, reintegrazioni pittoriche).
Scheda
Questa tela appartiene a una serie formata da quattro tondi, eseguita dal pittore bolognese Francesco Albani per arricchire la superba collezione del cardinale Scipione Borghese. L’opera fu acquistata dal potente prelato nel 1622 per il tramite del suo tesoriere Stefano Pignatelli, come si evince da un pagamento - datato 13 ottobre 1622 - emesso in favore del doratore Annibale Durante per tre cornici tonde “fatte a festoni intagliati a frutta quali servono alli tre quadri dell’Albano” (Della Pergola 1955, p. 15). Resta ancora ignota la ragione per cui non viene menzionata la quarta tela – con buona probabilità Il trionfo di Diana (inv. 49) – che, stando alla critica, dovette essere eseguita contestualmente all’acquisto degli altri tre dipinti per conferire al ciclo un nuovo significato. Con l’aggiunta de Il trionfo di Diana, infatti, i primi tre tondi - raffiguranti le storie di Venere - rinascono sotto una nuova luce, trattando non solo della dea della bellezza, bensì della rivalità fra l’Amore e la Castità - virtù incarnate dalle due dee - e del trionfo della casta Diana sulla bella Venere.
Secondo la critica, inoltre, sembra che per questo ciclo il pittore si fosse ispirato alle Eikones di Filostrato di Lemno. Questo testo, che ebbe una notevole fortuna nell’arte del Cinque e del Seicento, descrive sotto forma di dialogo una visita a una villa nei pressi di Napoli, dove un maestro e i suoi allievi ammirano sessantaquattro quadri, tra cui alcuni raffiguranti i giochi degli amorini nelle quattro stagioni: il lancio dei pomi in primavera, la fucina in estate, il congedo di Venere da Adone in autunno e il sonno in inverno.
Il ciclo è segnalato per la prima volta da Iacomo Manilli nel 1650 presso il casino di Porta Pinciana; qui rimase fino al 1658 quando, per ragioni di sicurezza, Giovanni Battista Borghese lo fece trasferire nel palazzo di città, dove risulta documentato sia nell’inventario del 1693, sia da Domenico Montelatici nel 1700. Contestualmente al trasferimento del ciclo presso la residenza di Campo Marzio, il principe Borghese fece eseguire una copia dei quattro tondi da destinare alla villa, due dei quali identificati da Eric van Schaack presso il Colegio de Santamarca a Madrid (La toeletta di Venere e Il trionfo di Diana). Nel XIX secolo, infine, la serie fu prelevata da Napoleone Bonaparte per essere portata a Parigi, dove rimase fino al 1816, quando rientrò definitivamente a Roma.
Ancora dubbia resta la sua data di esecuzione. Stando agli studi, la serie fu realizzata entro il 1618, anno del rientro del pittore a Bologna; oppure nel 1621-1622, non essendo menzionata nelle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini. Secondo Van Schaack, invece, le tele furono terminate entro il 1621, quando il pittore, chiamato alla corte di Ferdinando Gonzaga a Mantova, eseguì un ciclo analogo, in cui figurano diversi particolari, ripresi dalla serie Borghese. Ad ogni modo, l’analisi stilistica conferma quanto finora espresso dagli studi: le tele, infatti, richiamano alla mente le opere dell’Albani, eseguite a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, anni in cui il pittore produsse soggetti simili, come il ciclo - oggi al Louvre - iniziato per il duca di Mantova e terminato per il principe Gian Carlo de’ Medici.
Questa serie ebbe un enorme successo, come dimostrano i tondi con la rappresentazione dei quattro Elementi, eseguiti per il cardinale Maurizio di Savoia (Torino, Galleria Sabauda); e la Danza degli Amorini, già in collezione Sampieri a Bologna (Milano, Pinacoteca di Brera).
Antonio Iommelli
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