Nonostante il ritrovamento di alcuni pagamenti al pittore Agostino Ciampelli per una sua opera (1614), la tela con il Cristo sul sarcofago e due angeli è ricordata in collezione solo dal XIX secolo. Per questo dipinto, riferito anche al Passignano, il nome dell'autore fiorentino è ormai definitivamente accettato.
Roma, Collezione di Scipione Borghese (1614, acquisto diretto?); Inventario fidecommessario Borghese 1833 (p. 35). Acquisto dello Stato, 1902.
La prima citazione sicura del Cristo sul sarcofago e due angeli si trova nell’inventario fidecommessario del 1833 come un «Gesù con gli angeli» con attribuzione alla scuola di Leonardo da Vinci. Le fonti documentarie non sono certe ma esiste una nota del 1614, relativa ad alcuni pagamenti da parte di Scipione in favore del pittore Agostino Ciampelli, che, secondo Della Pergola, Gregorio e Hermann-Fiore, potrebbe essere riferita a questo quadro. Al contrario risulta difficile associarlo a quello ricordato tra i «molti quadri assai grandi e famosi» in una Descrizione di Roma del 1697 (p. 399) in cui viene menzionata un’opera attribuita sempre al pittore toscano ma da riferire con tutta probabilità o a un Giudizio Universale, oggi perduto, che era stato già descritto nel 1650 da Giacomo Manilli, oppure a una Resurrezione citata dal Montelatici (1700).
Cristo, seduto su di un semplice blocco di marmo, con la testa cinta dalla corona di spine, è affiancato da due angioletti. La costruzione dello spazio risulta piuttosto angusta con le tre figure che si stagliano in primo piano occupando gran parte della tela.
Per questo dipinto, riferito anche al Passignano, il nome dell'artista fiorentino è stato ormai definitivamente accettato. Viste le discordanti fonti documentarie e la provenienza sconosciuta, l’attribuzione fa affidamento sull'oeil du connaisseur di Roberto Longhi (1928, p. 218) che, diversamente dal nome del Passignano proposto da Venturi (1893, p. 200), aveva associato il quadro alla produzione di Agostino Ciampelli, attribuzione oggi definitivamente accettata (cfr. Della Pergola 1959, p. 89). Secondo Carlo Gregorio si tratta di uno dei primi quadri della produzione “aulica” del pittore, da far risalire dunque al secondo decennio del XVII secolo (2023, p. 83).
Gabriele De Melis