Il dipinto, documentato in collezione Borghese a partire dagli elenchi fidecommissari, è stato in passato erroneamente identificato con un'analoga opera su tavola appartenuta alla duchessa Lucrezia d'Este e da lei passata ai Borghese tramite l'eredità di Olimpia Aldobrandini senior.
Avvicinata in un primo momento alla maniera di Marcello Venusti, l'opera è stata recentemente assegnata a un anonimo artista spagnolo, eseguita con tutta probabilità sul finire del XVI secolo. Raffigura Cristo sulla croce tra Maria e Giovanni Evangelista, il cui schema deriva certamente da una perduta composizione di Michelangelo Buonarroti.
Cornice ottocentesca (cm 70 x 52,5 x 4,5)
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 18; Herrmann Fiore 1995). Acquisto dello Stato, 1902.
Questo dipinto è stato confuso dalla critica con un'opera su tavola appartenuta ai Borghese e finita nel XIX secolo nelle raccolte di Luciano Bonaparte (cfr. Della Pergola 1959; Herrmann Fiore 1995). Secondo una vecchia ipotesi, tutta da scartare, la tela proverrebbe dalla ricca eredità di Lucrezia d'Este, passata da Urbino a Roma e qui finita nelle mani di Olimpia Aldobrandini senior (Della Pergola 1959), proprietaria nel 1682 di "un quadro in tavola [sic!] con N[ost]ro Sig[no]re in Croce con la Madonna e San Giovanni alto palmi due in circa di Marcello Venusti come a d[ett]o Inventario a fogli 235 n. 392 et a quello del Sig[no]re Card[inale] a fogli 196" (Inv. 1682). Secondo Paola della Pergola (Ead. 1959), si trattava certamente dell'opera in esame, descritta per errore 'su tavola' dall'estensore del documento, svista poi ripetuta a detta della studiosa anche nell'inventario borghesiano del 1693: "un quadro in tavola [sic!] alto due palmi in circa con un Xpo in Croce la Vergine e S. Giovanni del n. 179 e 484 cornice dorata di Michelangelo Buonarota" (Inv, 1693).
Come però dimostrato dal Wiecker (Id. 1977) non si trattava di un errore, bensì di una corretta segnalazione riferibile, tuttavia, a un altro quadro di uguale soggetto, confluito nella collezione Bonaparte e qui rubato. Nel 1977, infatti, lo studioso pubblicava un'incisione ottocentesca raffigurante il quadro Aldobrandini che tra l'altro trova piena corrispondenza con una descrizione fatta da Wilhelm Heinse nel 1783, quando quest'ultimo vide effettivamente la tavola ancora nell'Urbe. Non c'è dubbio che sia l'incisione ottocentesca sia la descrizione di Heinse si riferiscano alla stessa opera raffigurante Cristo vivo sulla croce, Giovanni con le mani incrociate sul petto e gli angeli piangenti mentre volano sotto la croce, dettagli che di fatto differiscono dalla tela in esame.
Abbandonata quindi la pista suggerita da Paola della Pergola, bisogna dunque chiarire il contesto in cui fu realizzata la tela e il suo ingresso nella collezione pinciana, dove è identificabile solo a partire dal 1833, descritta inizialmente come opera di autore ignoto (Inventario Fidecommissario 1833; Piancastelli 1891) e in seguito variamente avvicinata dalla critica a Girolamo Muziano (Venturi 1893), al pittore norcino Michelangelo Carducci (Longhi 1928) e a un anonimo seguace di Marcello Venusti (Della Pergola 1959). Secondo Wiecker (Id. 1977), la tela fu eseguita contemporaneamente al passaggio della perduta tavola in collezione Bonaparte, ossia nell'Ottocento quando i Borghese ne avrebbero ordinato una copia sostitutiva.
Per quanto concerne l'autore, secondo Kristina Herrmann Fiore (Ead. 1995; Ead. 2006) l'opera fu dipinta da un anonimo artista spagnolo tra il 1565 e il 1600, come suggerirebbero alcuni dettagli come l'atmosfera tenebrosa della composizione e il paesaggio archeologico di gusto fiammingo, quest'ultimo in voga nella Spagna allo scadere del XVI secolo, in particolare nella cerchia dei pittori operanti all'Escorial come Miguel Barroso, Fernandez de Navarrete e Luis de Carvajal.
Una versione del quadro, anch'esso derivante da un foglio di Michelangelo, si conserva presso la Galleria Doria Pamphili di Roma (inv. n. 340; Della Pergola 1959).
Antonio Iommelli