L'opera è storicamente riferita a Marcello Venusti, attribuzione accolta anche dalla critica. La composizione deriva da un disegno di Michelangelo dedicato a Vittoria Colonna.
Roma, Collezione Borghese, citata nell’inv. 1693 (n. 45); inv. 1790 (Stanza IV, n. 68); Inventario Fidecommissario Borghese 1833 (p. 37). Acquisto dello Stato, 1902.
Il disegno per la Pietà realizzato da Michelangelo (Boston, Isabelle Stewart-Gardner Museum), modello per questo dipinto, prima di essere tagliato presentava in alto la tradizionale croce medievale a forma di Y fregiata dalla citazione dantesca ("non vi si pensa quanto sangue costa", Par. XXIX, 91), elementi rintracciabili solo nella riproduzione più antica a stampa di Giulio Bonasone (Londra, British Museum). Nella versione su tavola Venusti inserisce alle spalle della scena un paesaggio apocalittico attraversato da un fiume colorato dalla luce del tramonto. I colori quasi metallici della veste della Vergine e del corpo di Cristo si riflettono nel cielo amplificando il senso drammatico ma divino allo stesso tempo. Viste dunque le diverse prove svolte sui ‘cartonetti’ michelangioleschi, Venusti può essere considerato, più che copista, vero “traduttore accreditato”: la sua produzione è stata ritenuta il principale motore di imitazione delle invenzioni di Michelangelo durante la Controriforma (Parrilla 2019). La rivalutazione profonda dell’opera venustiana si deve a Federico Zeri che riconobbe una sua indipendenza artistica lontana da una passiva adesione ai modelli michelangioleschi, risollevando così Venusti da quella «zona grigia in cui egli è stato respinto» (1957, pp. 33-34).
Il dipinto, menzionato nell’inventario Borghese del 1693 come «un quadro (…) in tavola con la pietà del n. 45 con cornice dorata di Michelangelo Bonarota» (inv. 1693, n. 45), viene attribuito a Venusti già nell’inventario del 1790. Alcuni critici, di recente, hanno ‘sottratto’ dal suo catalogo la tavola (cfr Forcellino 2009, pp. 119-125) proponendo con convinzione nomi quali Marco Pino, tesi elaborata su basi stilistiche, in particolare per la fisionomia dei volti e per la composizione del fondale (Simone Bolzoni 2019, pp. 92-95). Della Pietà si conserva un disegno ad Haarlem di dimensioni identiche (Haarlem, Teylers Museum, inv. B 90) erroneamente attribuito a Venusti da Davidson (1973, p. 6) mentre una versione pittorica in collezione privata dovrebbe essere autografa del pittore, vista un’iscrizione (“M. B. INVENTOR / MARCELLUS VENUSTA”) non più visibile ma registrata da Frey nel 1909 (Simone Bolzoni 2019).
Gabriele De Melis