Grande eco aveva suscitato nel 1620 l’integrazione per mano di Gian Lorenzo Bernini di una scultura antica di Ermafrodito dormiente con uno splendido materasso. A quell’opera, tra i pezzi più celebri esposti nella Villa Pinciana, hanno inevitabilmente guardato coloro che in seguito sono stati incaricati di reintegrare sculture di soggetto analogo. Ciò è accaduto anche quando, nel 1774, si decise di porre mano a un altro Ermafrodito dormiente di proprietà Borghese fino a quel momento conservato nella cantina della Villa Pinciana. Lo scultore incaricato fu Andrea Bergondi, che realizzò un giaciglio composto da un materasso e un cuscino avvolti in un lenzuolo movimentato da morbide pieghe. Questo secondo Ermafrodito fu esposto nel Palazzo in Campo Marzio fino all’inizio dell’Ottocento, quando fu portato nella Villa Pinciana in sostituzione dell’altro, partito per Parigi nel 1807.
La figura, nuda e distesa, è ripresa in un momento di intimo riposo, con una lieve torsione del busto rispetto al bacino sollevato che suggerisce un movimento nel sonno. Vengono acrearsi così due lati di visione, uno nel quale lo spettatore osserva i fianchi, i sinuosi glutei e il viso, e un secondo, opposto, in cui si rivela la duplice natura, maschile e femminile.La scultura Borghese è da considerarsi un’elaborazione di epoca romana, risalente al II secolo d.C., ispirataa un originale di età ellenistica. Plinio il Vecchio attribuisce una statua di Ermafrodito allo scultore greco Polycles, operante probabilmente nel II secolo a.C.
L’opera è frutto della composizione di un Ermafrodito di provenienza archeologica con un materasso eseguito nel 1774 dallo scultore Andrea Bergondi.
Il giovane corpo è dolcemente disteso sul fianco destro, con il bacino lievemente sollevato e la gamba sinistra flessa con piede alzato. Le braccia sono piegate sotto il capo, che vi si adagia delicatamente. La figura è nuda, coperta solo parzialmente dalla stoffa su cui giace, che avvolge i polpacci.Il busto appare in un movimento di torsione, di direzione opposta rispetto al corpo, come in un’azioneincosciente nel sonno, mostrando da un lato il viso e i glutei sinuosi, dall’altro l’ambivalente natura con il sessomaschile e il seno.
La scultura, inizialmente conservata nei magazzini di Villa Borghese, fu trasferita in una sala del Palazzo di famiglia in Campo Marzio, dove la descriveWinckelmannnel 1764 e, nel 1783, lo scrittore tedesco Wilhelm Heinse, che la ritiene, tra l’altro, di fattura superiore a quella successivamente portata al Louvre (Visconti 1821, I, pp. 67-70, tav. 27; Winckelmann 1764, p. 368; Wiecker 1977, pp. 39-40, 79, n. 38). Nella medesima collocazione compare nell’inventario del 1812 (De Lachenal 1982, pp. 77, 79, 104).Il Visconti, nel 1796, illustra la figura su “una pelle di leone distesa sul nudo suolo”, fornendo un prezioso terminus post quem per l’esecuzione dei restauri (Visconti, Lamberti 1796, pp. 44-45). L’opera risulta infine nella sua attuale collocazione, nella villa Borghese, nell’elenco stilato da Antonio Nibby nel 1832 (Nibby 1832, pp. 99-100).
Riguardo le circostanze del rinvenimento non vi sono notizie certe. Visconti, nel 1821 avanza l’ipotesi che la scultura possa provenire dall’area delle Terme di Diocleziano, medesimo luogo dell’Ermafrodito Borghese, ora al Louvre, nella convinzione che “i Romani, studiosi della simmetria nell' adornare i pretorj delle lor ville, hanno spesso collocato due ripetizioni della stessa immagine, una in corrispondenza dell'altra” (Visconti 1821, pp. 70-71, tav. XXVII).
Ovidio, che nelle Metamorfosi intende “cantare forme di corpi che si mutano in corpi nuovi”, racconta la storia del dio, figlio di Ermes e Afrodite. Il fanciullo, che dai genitori prende il nome e i tratti fisionomici, cresce sul sacro Monte Ida, in Asia Minore. All’età di quindici anni, preso dal desiderio di esplorare nuovi luoghi, giunge presso uno stagno di acqua cristallina in Caria, dove viene notato dalla ninfa Salmace, abitatrice della fonte. Ella, colpita dalla sua bellezza, gli dichiara il suo amore ma viene respinta con durezza. Di fronte al rifiuto del giovane la ninfa invoca gli Dei affinché i loro corpi possano rimanere uniti per sempre. “Accolsero gli Dei i suoi voti … così, quando i corpi si fusero nel tenace abbraccio non sono più due, bensì hanno ambiguo aspetto, tal che non si possa parlare né di femmina né di maschio: l’aspetto è di nessuno dei due e di entrambi” (Ovidio, Metamorfosi, libro IV, vv. 289-388).
La scultura Borghese è ritenuta una delle numerose repliche romane, inquadrabile nel II secolo d.C., ispiratea un originale dello scultore greco denominato Polycles, secondo Plinio il Vecchio autore di un Hermaphroditus nobilis. Plinio riporta, tuttavia, l’esistenza di due bronzisti con questo nome, uno presente fra gli artisti della CII Olimpiade, negli anni 372-369 a.C. e un secondo, ateniese, operante durante la CLVI Olimpiade, nel 156-153 a.C. (Plinio, Naturalis Historia, XXXIV, 50, 52, 80).
La maggior parte degli studiosi ritiene più plausibile chesi tratti di un archetipo ellenistico di tendenze classiciste, risalente al II secolo a.C. (Klein 1921, p. 93, nota 115; Giglioli 1955, pp. 923-924; Lippold 1950, p. 366, nota 16; Coarelli 1970, p. 82, nota 34). Periodo nel quale gli artisti ateniesi tornano a guardare con interesse alle forme classiche delle opere di V e IV secolo a.C. Wolfgang Helbig, nel 1913, osserva come il modello iconografico dell’Ermafrodito dormiente sia da ricercare in un’opera in marmo di epoca ellenistica e identifica, invece, nell’Hermaphroditus nobilisil tipo di figura stante, attestato da un copioso numero di repliche (Helbig 1913, p. 245, n. 1552).
Lo schema compositivo della figura, in una raffigurazione dell’Ermafrodito con una variante di soggetto, si ritrova in una rappresentazione scultorea di Menade distesa su una roccia, rinvenuta sull’Acropoli di Atene e datata al II secolo a.C. (Atene, Museo Archeologico Nazionale, inv. 261) e nell’Arianna dormiente del Vaticano, inquadrabile nel medesimo periodo (Giglioli 1955, p. 923).
Il modello iconografico dell’Ermafrodito dormiente si riscontra in numerosi esemplari che si discostano tra loro per piccoli particolari. Il confronto più convincente si può stabilire con una seconda scultura del medesimo tipo statuario, sempre proveniente dalla collezione Borghese, oggi conservata al Museo del Louvre (Minozzi, Fabréga-Dubert, Martinez 2011, pp. 312-315, n. 35). Altre repliche si individuano nell’esemplare custodito al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme (Caso 2015, pp. 260-261, n. 189), in uno presso la Galleria degli Uffizi di Firenze (Mansuelli 1958, p. 82, n. 53) e in un ultimo all’Ermitage di San Pietroburgo (Guédéonow 1865, pp. 105-106, n. 349).
Giulia Ciccarello
Il materasso e il cuscino sono avvolti in un morbido lenzuolo, rincalzato inferiormente a creare ampie pieghe lungo tutta la superficie. In esso è evidente il riferimento al celebre Ermafrodito restaurato nel 1620 da Gian Lorenzo Bernini, venduto nel 1807 a Napoleone e oggi conservato al Louvre di Parigi. Rispetto al precedente seicentesco, netta è però la differenza nella resa della superficie del materasso, che non è più trapuntato “come in ciascuna casa odierna si trova, e che certamente non usavasi ai tempi quando Mercurio e Venere, secondo la mitica tradizione, diedero alla luce questo figlio mostruoso” come annotava criticamente Nibby nel 1832 (p. 99).
Oltre a lenzuolo e materasso anche la testa pare risalire a un intervento moderno, sebbene la contestualizzazione degli interventi di restauro non sia completamente chiara. Platner (1842, p. 350) sostiene che siano moderni anche la testa, il gomito destro e la gamba sinistra, ipotesi che trova il sostegno di Moreno per quanto concerne la testa (2003, pp. 213-214, cat. 196). Gangolf Kieseritzky nel 1882 descrive, tra altri esemplari, quello di Villa Borghese, “al quale A. Bergondi rifece la testa, il collo, il gomito destro, la mano sinistra col polso, la metà inferiore della gamba sinistra, il calcagno e le dita del piede destro col corrispondente pezzo del lenzuolo, vari altri pezzi di questo e il materasso”. L'attribuzione dell’importante integrazione della testa e di altre parti del corpo a Bergondi non appare in realtà confermata dai documenti. Nella contabilità di casa Borghese è infatti documentato il pagamento ad Andrea Bergondi di 250 scudi il 12 luglio 1774 “per il ristauro fatto ad una Statua Antica di Marmo rappresentante un Maufrodito con la rinovazione del Matarazzi Coscino e pieghe, che compongono Lenzuolo”(Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 5840, n. 83, 8253, c. 34, in Fumagalli 1994, p. 184 236n). Risulterebbe strano non citare nel pagamento almeno un intervento così rilevante come il rifacimento della testa. È inoltre significativo il fatto che Winckelmann, che la vide prima del restauro di Bergondi, non la citi come mutila o acefala.
Come indicato sopra, Visconti suppone che entrambi gli esemplari fossero presenti originariamente in uno stesso ambiente - perché i Romani, collocandoli ai due lati di una stessa sala ma in posizione parallela, avrebbero avuto modo di vedere Ermafrodito da entrambi i lati -, estendendo implicitamente la provenienza anche della presente scultura dalle Terme di Diocleziano (1821, I, pp. 70-71). Giusti definisce invece questo esemplare “copia della bellissima scultura scavata a Roma presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria” (1931, p. 30). Nel caso in cui le due statue fossero state rinvenute contemporaneamente, l’integrazione della testa potrebbe datarsi anche alla prima metà del XVII secolo.
Il volto di Ermafrodito, raffigurato nella serenità del sonno, è incorniciato da capelli mossi da morbide ciocche raccolti con un nastro in un’articolata acconciatura al sommo del capo e posteriormente. La superficie del viso e dei capelli è scabra, non levigata e, se opera di un restauro, è frutto della volontà di renderla più simile possibile al resto del corpo della scultura, che è piuttosto deteriorato.
A fronte delle precise indicazioni riportate nei documenti, risulta difficile da spiegare come nel 1796 Visconti descrivesse l’Ermafrodito come ancora privo della restauro del materasso e del lenzuolo (“il letto è antico, e viene formato da una pelle di leone distesa sul nudo suolo”: Lamberti, Visconti 1796, II, p. 44); ciò può essere forse dovuto al fatto che l’autore, portando brevemente a esempio due sculture simili all’Ermafrodito allora nella Villa – quello Borghese di Roma e uno a Firenze – li tratta insieme e probabilmente senza averne precisa notizia.
La scultura è rimasta fino al primo decennio dell’Ottocento nel Palazzo di Campo Marzio, per essere poi portata nella Villa Pinciana per sostituire l’esemplare rinnovato da Bernini, partito per la Francia in occasione della vendita della collezione di antichità a Napoleone da parte del principe Camillo.
Sonja Felici