La tavola, pendant dell’Adamo (inv. 129), faceva parte della collezione di Scipione Borghese. Alcune lettere frammentarie, riportate nel cartiglio sul tronco accanto alla figura di Eva - oggi non più visibili - hanno indotto a leggervi il nome di “Zambellin”, diminutivo del celebre pittore Giovanni Bellini. Tuttavia, in occasione del riordinamento del 1925, le due tavole sono state riferite a un allievo di Bellini, Marco Basaiti, attribuzione in seguito accolta dalla critica. Evidenti i richiami all'incisione, ai disegni e ai dipinti raffiguranti i medesimi personaggi eseguiti dal grande artista tedesco Albrecht Dürer prima, durante e subito dopo il secondo soggiorno veneziano (1505-1507).
Salvator Rosa cm. 177 x 109 x 8
Roma, collezione Scipione Borghese; Inventario ante 1633, n. 2 (Corradini 1998, p. 449); Inventario, 1693, Stanza VI, n. 14; Inventario, 1790, Stanza VI, n. 3; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24, n. 2 (?). Acquisto dello Stato, 1902.
Questo dipinto e il suo pendant con Adamo sono documentati nella collezione di Scipione Borghese a partire dall’inventario del 1633 circa, in cui compaiono “Doi quadri in tavola longhi uno con Adamo, et l’altro con Eva nudi cornice dorata, et noce, alto 5 3/4 larghi 3 1/2 Gio. Bollino”. Con l’attribuzione a Giovanni Bellini sono citati anche nella guida di Manilli (1650, p. 85) e in altri inventari sei e settecenteschi, con l’eccezione di quello del 1693 in cui il quadro di Eva è attribuito a Lucas van Leyden, mentre l’altro mantiene la precedente assegnazione. A partire da questa data i due pannelli sono documentati nella “Stanza delle Veneri” del Palazzo Borghese a Campo Marzio, luogo in cui ancora si trovano nel 1833, quando viene stilato il famoso elenco fidecommissario. In esso la tavola con Eva risulta priva di attribuzione e, non a caso, il soggetto è confuso con una Venere, mentre la scena con Adamo è ipoteticamente identificabile con un ritratto menzionato poco dopo nella stessa stanza, anch’esso di autore incognito.
In questo dipinto Eva è raffigurata completamente nuda, in piedi e di dimensioni quasi al naturale. La donna rivolge lo sguardo verso il frutto proibito, che ha appena colto e che tiene nella mano sinistra sollevata verso l’albero accanto a sé. Lo sfondo è occupato da fusti d’albero e da un lembo di cielo. In basso a destra un cartiglio inchiodato su un tronco riportava un’iscrizione non più leggibile, che all’inizio del XX secolo fu interpretata come “Zambellin fecit”.
Già Venturi (1893, p. 97) pose in relazione questo e la tavola con Adamo con un’invenzione dureriana del 1504 e 1507, che ebbe una discreta fortuna sia nella pittura tedesca che veneziana, a cui vanno certamente ricondotti i due pannelli Borghese. Nel 1925, con il riordinamento della Galleria Borghese ad opera dell’allora direttore Giulio Cantalamessa, i due dipinti vengono riferiti a Marco Basaiti, pittore veneziano allievo di Giovanni Bellini. Tale attribuzione viene accolta dalla critica successiva ad eccezione di Berenson (1957, I, p. 122) che fa il nome di Alessandro Oliverio (circa 1500-1544) e Heinemann (1962, p. 305) che propone, in via dubitativa, un pittore fiammingo operante in Italia.
Pier Ludovico Puddu