La figura femminile coronata di rose, che stringe mazzi di fiori nelle mani, è la rappresentazione di Flora, antica divinità italica collegata al fiorire primaverile. Variamente interpretata dalla critica come copia o variante da opere di Bernardino Luini o di Francesco Melzi, discepolo particolarmente fedele di Leonardo, l'opera è stata infine per lo più ricondotta all’ambito di Luini.
Roma, Collezione Borghese, citato nell’inv. 1693 (Stanza III, n. 51); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 22. Acquisto dello Stato, 1902.
La figura femminile, raffigurata in una posa rigidamente frontale e con il capo leggermente rivolto alla sua sinistra, indirizza lo sguardo verso lo spettatore con espressione ineffabilmente enigmatica. Un’acconciatura floreale composta da rose ordinatamente disposte orna gli ondulati capelli di un colore biondo rossastro. La semplice veste percorsa sul seno da pieghe simmetriche e dalle maniche annodate poco al di sopra del gomito rivela la corporatura possente della figura, nella quale l’artista ha rappresentato Flora, antica divinità italica collegata al fiorire primaverile. La mano destra, parzialmente tagliata dal bordo inferiore della tavola, stringe un mazzo di fiori, mentre la sinistra sostiene fiori dal gambo più lungo, creando una decorazione quasi speculare rispetto ai fiori dipinti lungo il bordo destro del quadro. Le specie floreali sono dettagliatamente rappresentate: iris, narciso, aquilegia, veronica, garofano rosso, pervinca e ornitogallo.
Il dipinto è identificabile con certezza nella collezione grazie alla descrizione precisa e alla rispondenza delle dimensioni riportate nell’inventario del 1693, che lo documenta nella stanza terza del Palazzo Borghese in Campo Marzio: “un quadro con dentro una Donna che tiene un mazzo di fiori in mano et in testa una corona di fiori alto 3 palmi in circa con cornice dorata in tavola del N. 16 di Leonardo de Vinci”, benché attualmente l’opera riporti in basso a destra il n. 306, la cui effettiva correlazione non è stata ancora individuata (Della Pergola 1955; 1964).
La provenienza dell’opera non è nota. Ne è stata ipotizzata l’acquisizione dal sequestro dei quadri del Cavalier d’Arpino del 1607 (Herrmann Fiore 2000¹) sulla base di una voce presente nel relativo inventario (“Un altro quadretto di un giovane ed una banda che tiene diversi fiori senza cornici”) di non certa correlazione con il dipinto. Della Pergola (1955) ne rilevava la presenza nell’inventario del 1790, identificandolo con un dipinto di soggetto maschile, ma più coerente nel riferimento a Leonardo da Vinci (“Un giovane con fiori in mano, Leonardo da Vinci).
A partire dal Fidecommisso del 1833 il soggetto viene descritto come “Una mezza figura rappresentante la Vanità” della “Scuola di Leonardo da Vinci”, di particolare interesse in quanto suggerisce la rilevata affinità con il dipinto raffigurante La Vanità e la Modestia, di derivazione leonardesca, noto in diverse versioni, spesso sotto il titolo di Marta e Maria Maddalena (quest’ultima identificata come la “Vanità”) tra cui quella già in collezione Barberini e poi in Palazzo Sciarra (Pregny-Chambésy, coll. Rotschild), incisa nel 1770 da Giovanni Volpato per la celebre raccolta di Gavin Hamilton “Schola Italica Picturae” (1773) e attribuita nel 1811 da Fumagalli a Bernardino Luini (cfr. C. Quattrini, Bernardino Luini: catalogo generale delle opere, Torino 2019, pp. 404-406, cat. 166). Anche nel catalogo di Venturi (1893) la Flora è descritta come La Vanità ma considerata “copia grossolana di una delle figure del quadro, già nella Galleria Sciarra, ritenuta come rappresentante la ‘Vanità e Modestia’ di Bernardino Luini”.
La critica si è espressa più volte ravvisando alternativamente nell’opera richiami all’ambito di Luini o di Francesco Melzi. Cantalamessa nelle note manoscritte al catalogo di Venturi sottolineò in un primo tempo i caratteri che, pur nella somiglianza dei volti, distinguevano la Vanità dalla Flora Borghese, in particolare per l’impostazione frontale del corpo di quest’ultima, accogliendo l’opinione di Corrado Ricci che ne aveva proposto inizialmente l’attribuzione a Francesco Melzi per il confronto con la Colombina o Flora dell’Hermitage di San Pietroburgo; tale opera è a sua volta controversa, avvicinata da parte della critica alla “Pomona” della celebre tavola di Berlino del Melzi (Vertumno e Pomona, Staatliche Museen, Gemäldegalerie, n. 222) ma più recentemente ricondotta a Luini da una parte della critica (Kustodieva 1998; Delieuvin 2019).
In una annotazione aggiuntiva del 21 aprile 1912 tuttavia Giulio Cantalamessa, riferendosi alla monografia di Luca Beltrami (1911), indicava la Flora di Hampton Court del Luini (Royal Collection, inv. 405474) come fonte di ispirazione di quella Borghese: riferimento accettato in seguito anche da Suida (1929) e Della Pergola (1955), che però mantenne l’attribuzione dell’opera come “variante da Francesco Melzi”. Il riferimento a Melzi, respinto anche da Longhi (1928), è stato accolto in seguito da Hevesy (1952), Marani (1998) e Herrmann Fiore (2000²; 2006).
Per le tangenze assai stringenti della Flora Borghese con il dipinto di Hampton Court, attualmente legata al nome di Luini o al suo ambito, si sono espressi a favore di tale rimando Ottino dalla Chiesa (1956), Shearman (1983), Vezzosi (1983), Kustodieva (1998), Delieuvin (2019) e Minozzi (2016).
Dalle indagini radiografiche condotte nel 2000 a cura dell’ENEA sono emersi alcuni importanti pentimenti, tali da far supporre la realizzazione iniziale di una figura nuda, a cui venne aggiunta una camicia con ampia scollatura a V, a sua volta modificata nella versione attualmente visibile (Herrmann Fiore 2000²). Si è inoltre accertato che il supporto ligneo, costituito da tre tavole verticali, anticamente restaurato mediante l’inserimento di due farfalle lignee nella parte inferiore per la tenuta delle giunture tra le tavole, venne successivamente ridotto, in particolare sul lato sinistro e sul bordo inferiore.
La riflettografia a infrarosso eseguita nel 2016 dal Centre de recherche e de restauration des Musées de France in occasione della mostra Leonardo in Francia. Il maestro e gli allievi 500 anni dopo la traversata delle Alpi. 1516-2016 (Minozzi 2016) ha permesso di rilevare nuovi elementi di particolare interesse ai fini attributivi. Dallo studio delle indagini, condiviso con Vincent Delieuvin, è infatti risultato evidente che il contorno di quella che in un primo momento era stata ritenuta un’aureola era in realtà la traccia di un’acconciatura molto simile a quella del celebre Ritratto femminile di Bernardino Luini, datato tra il 1520 e il 1525 (Washington, National Gallery of Art, inv. 1937.1.37): dalle immagini riflettografiche risulta infatti chiaramente visibile il profilo del copricapo, i capelli che incorniciano nettamente il volto fino al vezzo dei riccioli che sfuggono dall’acconciatura sul lato sinistro del viso, soluzione in tutto analoga al ritratto di Washington, i cui tratti fisiognomici non appaiono lontani da quelli della Flora Borghese, così come la scelta di porre la figura su un fondo scuro a esaltarne il profilo (Castellano 2016).
L’esito delle indagini suggerisce una stringente correlazione a Bernardino Luini e se le tormentate vicende conservative della tavola non consentono di chiamare in causa la mano del maestro, il dipinto sembra comunque da collocare nell’ambito della sua bottega, dove erano verosimilmente a disposizione modelli rielaborati in diverse varianti declinate su temi di attardata derivazione leonardesca, anche di carattere profano e sottilmente erotico, apprezzati dalla committenza privata.
Marina Minozzi