La tavola, il cui soggetto va rintracciato nelle Metamorfosi di Ovidio, è ricordata per la prima volta in casa Borghese in un inventario del 1762. Rappresenta Giunone, sposa di Giove, ritratta nell'intimità della propria camera da letto, dalla cui finestra si scorge un bellissimo paesaggio marino caratterizzato da un aspro rilievo montuoso. Ad impreziosire la scena, i due attributi iconografici di Giunone e Giove - rispettivamente il pavone e l'aquila - e due piccoli amorini da identificare con ogni probabilità con Eros, raffigurato etereo sopra alcune nuvole, e suo fratello Anteros, ritratto mentre distrugge l'arco.
Il dipinto, tradizionalmente riferito al pittore bolognese Annibale Carracci, è stato attribuito dalla critica ad Antonio, nipote di Annibale e figlio illegittimo di Agostino; e recentemente all'artista carraccesco Giovanni Antonio Solari.
Roma, collezione Borghese, 1762 (Inventario 1762, p. 102); Inventario 1765, p. 168; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è attestato per la prima volta in casa Borghese a partire dal 1762, descritto nell'inventario di quell'anno come "Un quadro che rappresenta Giove con una donna a sedere sopra un Letto, Cupido et un Pavone di p[al]mi 1 1/3 per ogni verso, dipinto in tavola, con cornice dorata del n. 207" (Della Pergola 1955). Citato erroneamente come lavagna nel 1765, fu assegnato negli elenchi fedecommissari (1833) alla scuola dei Carracci, attribuzione ripresa da Giovanni Piancastelli (1891) ma rifiutata da Adolfo Venturi (1893) che dal canto suo, ritenendolo un'imitazione di un'opera raffaellesca, attribuì il quadro a Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino.
Nel 1928 Roberto Longhi descrisse la tavola come replica "con intelligenti varianti" dell'affresco con analogo soggetto di Palazzo Farnese eseguita dallo stesso Annibale, parere condiviso sia da Paola della Pergola, che nel 1955 pubblicò questo Giove e Giunone come quadro autografo del Carracci, datandolo al 1602; sia da Maria Celeste Cola che nel 1997 ha riproposto l'attribuzione ad Annibale.
Il primo ad assegnare il quadro ad Antonio Carracci, nipote di Annibale e figlio di Agostino, fu Luigi Salerno (1956), nome ripreso e confermato da sir Denis Mahon (1957), da Maurizio Calvesi (1958) e di recente da Kristina Herrmann Fiore (2006), ma respinto nel 1971 da Donald Posner, che ritenne la tavoletta Borghese una copia non autografa del Giove e Giunone della galleria farnesiana; e nel 1976 da Gianfranco Malafarina (1976).
Nel 1981, partendo da una citazione inventariale, Carel van Tuyll identificò l'opera Borghese con un dipinto elencato nel 1609 tra i beni lasciati da Annibale Carracci alla sua morte, descritto come "un quadro di Giove con una Giunone con un amorino di mano di Giovanni Antonio", nome sciolto dallo studioso in favore di Giovanni Antonio Solari, fedele allievo di Annibale, rimasto al capezzale del suo maestro fino alla fine insieme ad Antonio e a Sisto Badalocchio. Secondo Van Tuyll, infatti, la tavola Borghese sarebbe opera del Solari, un artista dal profilo biografico e artistico ancora molto sfuggente al quale, partendo proprio da quest'opera, lo studioso assegnò discutibilmente una serie di pitture, discusse di recente da Nicosetta Roio (2007) nella monografia su Antonio Carracci.
Come dichiarato dalla critica, la tavola riproduce con alcune varianti l'affresco eseguito da Annibale Carracci a Palazzo Farnese in cui sono analogamente raffigurati ai piedi del letto Giove e Giunone in atteggiamenti molto intimi. Ma, a differenza della scena farnesiana, qui sono stati aggiunti il paesaggio, che si apre alle spalle dei due protagonisti; e due putti, probabilmente Eros e Anteros, che rappresentano le due facce dell'amore - quello passionale e quello impietoso - probabile riferimento alla lealtà e dedizione di Giunone, in contrasto con la natura infedele e fedifraga del marito.
Antonio Iommelli