Il dipinto apparteneva alla collezione del cardinal Salviati, affluita nella raccolta Borghese attraverso le nozze di Paolo Borghese con Olimpia Aldobrandini. La piccola tavola costituisce una delle opere più straordinarie realizzate dall'artista; nella semplicità della composizione si fondono tutti i complessi riferimenti artistici e culturali cui Mazzolino attinge nel corso della sua carriera di pittore attivo presso la corte di Ferrara. La preziosità dei nimbi denota l'estenuata cura formale, quasi da orafo, espressa dal pittore nelle sue creazioni, per lo più tutte di piccolo formato.
Roma, cardinale Pietro Aldobrandini, 1603, n. 275; Meldola, cardinale Pietro Aldobrandini, 1612, n. 7; Roma, Olimpia Aldobrandini junior, 1682, n. 422; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 33 n. 20. Acquisto dello Stato, 1902.
L’episodio raffigurato è tratto dal Vangelo di Giovanni (20). La trasposizione del Mazzolino della narrazione, dove Cristo invita Tommaso a vedere e toccare la ferita sul costato, fa comprendere come l’apostolo non prenderà coscienza piena del ritorno in vita di Cristo se non avrà visto e toccato i segni manifesti della sua Passione. Tale scena cristologica, più volte affrontata dagli artisti, è raramente, come in questo caso, rappresentata nel momento in cui il tocco di Tommaso approda sul segno tangibile della Passione del Signore, ovvero la ferita del costato.
La scena è ambientata all’aperto e conduce direttamente lo sguardo sugli unici due personaggi presenti sono Gesù e il suo apostolo dubbioso; Cristo apre la sua tunica per mostrare la piaga del costato e Tommaso, mosso dalla curiosità, infila le sue dita nella ferita.
Sullo sfondo si apre una prospettiva intrisa di aria azzurrina, dove campeggia una collina sulla quale si arrocca una città gotica illuminata da un bagliore di luce.
Quest’opera è accomunata nella storia collezionistica all’Adorazione dei Magi (inv. 218) e alla garofalesca Madonna con Bambino in trono e i Santi Pietro e Paolo (inv. 213), senza dubbio di provenienza Aldobrandini. Recenti studi ne hanno chiarito un passaggio per Meldola (Costamagna 2000), data la sua presenza in un inventario precedentemente collegato alle eredità Salviati ma che si è dimostrato invece del cardinale Pietro (Tarissi de Jacobis 2003[2004]).
Sebbene nel documento inventariale di Olimpia junior del 1682 l’opera fosse avvicinata alla mano dello Scarsellino, non vi sono mai stati dubbi relativamente alla paternità della composizione a Mazzolino.
L’esasperazione formale, inserita in questa nitidissima struttura pittorica dal raffinatissimo lirismo narrativo ed intrisa ancora delle suggestioni anticlassiche derivanti da Ercole de’ Roberti e dalla pittura oltramontana consente di datare la tavola Borghese tra il 1520 e il 1521, vicina alle mature soluzioni adottate nel coevo Passaggio del mar Rosso (Dublino, National Gallery of Ireland, inv. 666).
Lara Scanu