Questo dipinto fa parte di una serie composta da più tele, entrato in data imprecisata in collezione Borghese, dove è segnalato per la prima volta nel 1650 come opera di Francesco Bassano. Non tutti gli studiosi sono però concordi nell’attribuire questa tela e le altre Stagioni al solo Francesco o a suo padre Jacopo, capostipite di una importante famiglia di pittori, sebbene i dipinti rientrino certamente in quel gruppo di opere di soggetto biblico-pastorale realizzate all'interno della loro nutrita bottega.
La tela rappresenta l'Inverno che, al pari delle altre Stagioni, squaderna una serie di figure e animali, correlati alle occupazioni campestri tipiche di questa stagione, come la raccolta della legna e la macellazione del maiale. Ad accentuare l'atmosfera fredda e invernale, oltre al paesaggio completamente coperto di neve, un uomo vestito con un pesante mantello e alcuni contadini stretti intorno al fuoco per ripararsi dal freddo inclemente.
Analogamente alla versione viennese, eseguita nel 1577 da Francesco Bassano, ritorna la raffigurazione di un brano biblico isolato sullo sfondo, in questo caso Cristo portacroce; immagine che, tra l'altro, ricompare in maniera identica in una seconda redazione dell'Inverno, sempre in collezione Borghese (inv. 29), erroneamente descritta come 'Veduta villereccia' nell'inventario del 1790 e nel Fidecommisso del 1833.
Salvator Rosa (cm 155 x 208 x 8)
Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Roma, collezione Borghese, 1790 (Inventario 1790, Stanza III, nn. 10, 11, 36, 37); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, pp. 19-20, 33, 40. Acquisto dello Stato, 1902.
Opera in deposito presso il Ministero della Pubblica Istruzione, Roma.
Questo dipinto, insieme alle due redazioni dell'Autunno (inv. 5, 11) e la Primavera (inv. 3), è attestato in collezione Borghese a partire dal 1650, anno in cui Iacomo Manilli lo segnala presso il casino di Porta Pinciana come opera del 'giovane Bassano', alias Francesco Dal Ponte. Tale attribuzione, respinta da Adolfo Venturi (1893) in favore di Jacopo Bassano, fu in parte accolta da Roberto Longhi (1928), secondo cui l'intero ciclo Borghese derivava da una serie analoga, eseguita nei modi di Francesco. Probabilmente lo studioso si stava rifacendo alle parole di Carlo Ridolfi (1648) che, nel cameo biografico dedicato a Jacopo Bassano, descrive Quattro Stagioni eseguite per il veneziano Nicolò Renieri: "molte delle quali [...] faceva il Bassano [Jacopo], per mandarle a Venetia à vendere, e stavano per molto tempo appese al cantone di San Mosè".
Nel 1931, riesumando in parte l'ipotesi di Venturi, Edoardo Arslan assegnò la Primavera, l'Autunno (inv. 5) e l'Inverno alla bottega di Jacopo, attribuendo la seconda redazione dell'Autunno (inv. 11) - erroneamente interpretata come l'Estate - ad un seguace di Francesco, ipotesi rivista dallo stesso studioso qualche anno dopo (Id. 1960) quando situò l'intera serie tra le opere eseguite nell'atelier di Jacopo. Presumibilmente a far ritornare sui suoi passi l'Arslan fu Paola della Pergola (1955): la studiosa, infatti, ritenendo difficile distinguere le diverse mani in un lavoro di bottega, criticò la teoria del collega, ponendo al contempo l'accento sull'autografia del ciclo, riferito dalla direttrice a un seguace di Jacopo.
Nel 1988, dopo aver studiato la Primavera, l'Autunno (inv. 11) e l'Inverno, Alessandro Ballarin, seguito da Livia Alberton Vinco da Sesso (1988), giudicò la serie borghesiana 'largamente autografa', avvicinandola alle tavole illustrate nel Theatrum Pictorium (tavv.162-165). Secondo lo studioso, il ciclo sarebbe stato eseguito da Jacopo tra il 1576-77, ossia al culmine di una ricerca stilistica intrapresa dal pittore nel 1573 col Viaggio di Tobia (Dresda, Gemäldegalerie) e continuata negli anni successivi con le Stagioni del Kunstistorisches Museum di Vienna e con il Sacrificio di Noè di Potsdam. Come notato dallo studioso, la serie Borghese sarebbe permeata da una nuova spazialità, in cui "[...] le figure sono immerse nel paesaggio con mezzi esclusivamente pittorici, senza artifici prospettici o scarti di scala, e la profondità dello spazio è suggerita dalla densità del tono" (Ballarin 1992, p. CXCV), una soluzione effettivamente estranea alle opere precedenti in cui i personaggi sono disposti sulla fronte del quadro e la profondità della composizione è resa con un gioco di diagonali e di proporzioni. Questa ricerca, condotta a partire dalla metà dell'ottavo decennio, mostra dunque la strada intrapresa da Jacopo che, alla rappresentazione dei brani di genere, unì una ritrovata osservazione paesistica, attento ai modi e alla tradizione lagunare.
Una variante del ciclo Borghese, eseguita da Francesco Bassano intorno al 1577 - da alcuni considerata la serie originale (cfr. Rearick 1992; per una gerarchia delle diverse redazioni si rimanda allo studio di Irina Smirnova, 1971) - si conserva presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna (Estate, inv. 4289; Autunno, inv. 4287; frammento dell'Inverno, inv. 4288).
Antonio Iommelli