Il piccolo Labrum è realizzato in porfido rosso, pregiato marmo, impiegato soprattutto in contesti pubblici di rappresentanza o privati di committenza imperiale. Il bacino, di forma circolare, e con pareti dalle superfici lisce e labbro aggettante, rientra nel tipo definito “II bacile”. Poggia su un piede di fattura moderna, probabilmente realizzato nel 1700 dallo scalpellino Paolo Santi, autore dell’analoga replica collocata in pendant (inv. CLXIV). Privo del foro per il condotto interno dell’acqua, è probabilmente da considerare un elemento decorativo di alto pregio, inquadrabile nella media età imperiale.
Per la scultura sono documentati numerosi spostamenti all’interno della Palazzina Borghese: nel 1796 è esposta nella sala VIII insieme a quella moderna; nel 1812 appare collocata nella sala I e nel 1831 è trasferita nella IV Sala dove su progetto del Ministro Evasio Gozzani è istituita la “Galleria delle Pietre dure”. Nel 2019, infine, è sistemata nel Salone di Mariano Rossi, sua odierna collocazione.
Collezione Borghese, ricordato nel 1796 nella sala VIII (Lamberti, Visconti, p. 89); trasferito nel 1812 nella sala I, è posto nel 1831 nella sala IV, destinata a “Galleria delle Pietre dure” (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, B. 309, n. 115; B. 7458, n. 121 del 22/10/1831: Moreno, Sforzini 1987, pp. 344, 371). Si ritrova infine nella sua attuale collocazione, il Salone di Mariano Rossi, dal 2019. Inventario Fidecommissario Borghese, C., p. 49, n. 114. Acquisto dello Stato, 1902.
Nel 1796 il bacino è collocato nella “facciata a rincontro della camera Egizia” nella sala VIII, detta “del Sileno” in ricordo del gruppo con Sileno e Bacco bambino, oggi al Louvre. La scultura era esposta in pendant con una analoga, di fattura moderna (inv. CLXIV): “dinanzi alle due finestre […] si alzano due rocchj di granito bianco orientale, i quali sostengono due tazze rotonde di porfido rosso del diametro di tre palmi, e più” (Lamberti, Visconti, p. 89). Nell’inventario del 1812, successivo alla cessione napoleonica, essa compare esposta nella sala I, al tempo denominata “Camera del David”, tra le poche opere rimaste nella Palazzina. Nel 1831 il Ministro Evasio Gozzani promuove una nuova organizzazione museale secondo la quale la sala IV è destinata a conservare la “Galleria delle Pietre dure”. Al centro della sala sono quindi collocati i due bacini di porfido e una vasca dello stesso materiale (inv. CLXV. Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, B. 309, n. 115; B. 7458, n. 121 del 22/10/1831: Moreno, Sforzini 1987, pp. 344, 371). In occasione dell’allestimento della mostra “Valadier. Splendore nella Roma del Settecento”, svoltasi nel 2019 nella Galleria Borghese, le due sculture sono spostate nel Salone di Mariano Rossi, contigue agli accessi della sala I e della sala VIII.
La vasca, di piccole dimensioni e forma circolare, presenta un labbro a listello aggettante, piatto nella parte superiore e anteriore. Le pareti sono incurvate dolcemente fino al fondo piano, privo del foro per il condotto interno della fistula acquaria. Mostra alcune fratture sul corpo, rotture sul labbro e una scheggiatura tondeggiante sulla curvatura della parete, restaurata con stucco bordeaux.
Si tratta di un tipo di vasca definito “II bacile” nella classificazione della Ambrogi del 2005, la quale ritiene il piede di fattura moderna e probabilmente coevo al bacino in porfido, realizzato dallo scalpellino Paolo Santi nel 1700 (inv. CLXIV). L’autrice accosta all’opera Borghese una analoga conservata nella chiesa di San Marco a Venezia, di medesimo materiale e sprovvista dell’ombelico centrale, forse proveniente da Costantinopoli (2005, pp. 200-201, nn. L. 10, L. 16). Per quanto riguarda la forma, un secondo confronto si può stabilire con un Labrum in ofite esposto nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, relativo, probabilmente, a un impianto termale di piena età imperiale (inv. 8655: de Lachenal 1983, pp. 83-84).
In età imperiale, difatti, la produzione di vasche utilizzate in ambienti domestici, nelle terme pubbliche o come fontane di residenze private è caratterizzata, tra l’altro, dall’uso di marmi pregiati, come granito, giallo antico e porfido. Nelle fonti antiche il termine Labrum, forma contratta di Lavabrum, indica in generale una vasca, per acqua, legata al rituale del bagno. Con questa valenza si ritrova citato, nel III-II secolo a.C., nel De re rustica di Catone “labra aquaria” (10, 4) o, nel I secolo a.C., nell’Eneide di Virgilio “labris aenis” (8, 22). Per Vitruvio designa, invece, la vasca termale posta nella schola e impiegata per le abluzioni (De architectura, V, 10, 4). Il porfido rosso, estratto nelle cave del Mons Porphyrites, nel deserto orientale egiziano, vede la sua più grande diffusione nella scultura romana dal II fino agli inizi del IV secolo d.C. Destinato soprattutto a opere di committenza imperiale, dato l’elevatissimo costo (del quale si ha notizia nell’Editto dioclezianeo del 301 d.C.) rende i manufatti simbolo del potere, proprio in virtù della sua pigmentazione purpurea (Ambrogi 1995, p. 30).
Riguardo al bacino Borghese, escludendo la destinazione quale vasca di fontana per la mancanza del foro interno, rimane solo una generica definizione come Labrum, dal probabile valore decorativo. L’impiego di un materiale particolarmente pregiato, come il porfido rosso, induce a supporre si tratti di una struttura pubblica di grande prestigio o privata di committenza regale, inquadrabile nella media età imperiale. Tale datazione confuterebbe la proposta del Nibby e del Pistolesi di un lavoro di fattura moderna per entrambe le vasche in porfido (1832, p. 94; 1852, p. 385).
Giulia Ciccarello