La vasca, in porfido rosso, presenta un corpo semicilindrico liscio, decorato nella parte superiore da una serie di modanature. Da esse dipartono i due trapezofori di sostegno composti da un capitello liscio, una protome di grifo e una zampa leonina. Il capo dell’animale ha corna ritorte, folta criniera e orecchie a punta. La parte inferiore dei sostegni è decorata con motivi floreali.
Nel 1650 la scultura è ricordata da Iacomo Manilli nel giardino della Villa Borghese, vicino la casa degli Uffizi e successivamente, nel 1671, è collocata nel Palazzo di città. In tale occasione è modificata come fontana dallo scalpellino Francesco Fanalli e nella sala viene creato un impianto idrico apposito. Un secondo intervento è effettuato tra il 1778 e il 1779 da Paolo Santi su disegno dell’architetto Antonio Asprucci. Antonio Nibby, nel 1832, la ricorda nella Villa Pinciana, dove viene trasferita intorno al 1820. L’autore, inoltre, ne ipotizza il ritrovamento nel Mausoleo di Adriano, mentre lo Schneider la ritiene, invece, proveniente dal Mausoleo di Augusto. La mancanza di dati circa il contesto di rinvenimento porta a proporre per l’opera un inquadramento cronologico al II secolo d.C., basato soprattutto sulle osservazioni stilistiche e sul confronto con esemplari noti.
Iacomo Manilli ricorda, nel 1650, nel giardino della Villa Borghese, vicino la casa degli Uffizi, “un Gran Labro o Conca di Porfido, sostenuto da due Lioni” (Manilli 1650, p. 123). Nel 1671, i rendiconti dell’imprenditore Giacomo Mola riportano il pagamento per la rimozione della scultura e il trasferimento nel Palazzo di famiglia in città: “per esser andato a Villa Pinciana et leuato di opera il d(ett)o pilo di porfido, che staua nel stazzo della facciata uerso strada dietro le cucine” (De Lachenal 1982, p. 100: Archivio Borghese 1476, n. 781, 1671). In questa occasione la vasca venne adattata a fontana dallo scalpellino Francesco Fancelli e posta nella seconda sala al pian terreno. Per il sollevamento e lo spostamento si rese necessaria la costruzione di una notevole struttura in legno, un “castello”, che riuscisse a sostenere il peso della possente scultura (De Lachenal 1982, p. 70: Archivio Borghese, vol. 4376, busta 23, n. 36: Spese per la Fabrica fatta nel palazzo grande di Roma, 1763). Agli inizi del Settecento, Gregorio Roisecco conferma la collocazione nel Palazzo del nobilissimo Bagno di Porfido (Roisecco 1705, p. 158), mentre nel 1775, Pietro Rossini, ne Il Mercurio errante, ne fornisce anche un’altissima valutazione economica: trentamila scudi (Rossini 1775-1776, p. 432). Tra il 1778 e il 1779 Paolo Santi effettuò un secondo intervento sulla vasca, su disegno dell’architetto Antonio Asprucci (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese 5843, Filza dei Mandati 1778, n. 75; 5844, Filza dei Mandati 1779).
L’inventario del 1812, sul Mobilio del Palazzo e delli Casini della Villa Pinciana riporta la descrizione più esaustiva della scultura e dell’impianto idrico appositamente costruito nella sala: “Pianterreno. Galleria dei Quadri. Camera Seconda. Nel mezzo della Camera un Urna tutta di porfido con suoi piedi a forma di sfingi della stessa pietra foderata di piombo, su di cui poggiano una piccola Aquila, ed un piccolo Drago di metallo dorato, che scaturiscono Acqua mediante un condotto di piombo sotterraneo, che si apre a piacimento con una tromba, che riferisce nello stesso pavimento della Camera” (De Lachenal 1982, p. 102: Archivio Borghese 309, n. 115). Intorno al 1820 la vasca venne trasferita nella Villa Borghese e posta al centro della sala IV che Giuseppe Gozzani aveva destinato a Galleria delle pietre dure, e dove la ricorda Antonio Nibby, nel 1832, sopra un plinto di giallo antico (Nibby 1832, p. 93). Quando, nel 1911, in questa sala fu trasferito il gruppo con Plutone e Proserpina da Villa Ludovisi, la scultura fu, dapprima, collocata dinanzi alla porta di comunicazione con il Salone e, successivamente, nell’attuale sala V (Moreno, Viacava 2003, pp. 128-129).
La vasca presenta un corpo semicilindrico, coronato nella parte superiore da una serie di cornici modanate con spigoli stondati all’incrocio dei lati lunghi e quelli brevi. I sostegni, che dipartono direttamente dal listello superiore, si compongono di una fascia liscia di forma trapezoidale e da una protome in forma di grifo. Il capo presenta corna ritorte, una criniera di ciocche arrotondate e orecchie appuntite, mentre il petto, liscio, termina in una possente zampa leonina. Nella parte sottostante la vasca, la superficie dei supporti è decorata con motivi floreali simmetrici.
Il porfido rosso, estratto dalle cave del deserto orientale egiziano a Gebel Dokhan, inizia a essere impiegato in maniera massiccia a Roma dagli inizi del II secolo d.C. È utilizzato, soprattutto per il suo costo elevato (del quale si ha notizia nell’Editto dioclezianeo del 301 d.C.), per le rappresentazioni statuarie ufficiali e destinato in particolare alla famiglia imperiale proprio per la sua pigmentazione purpurea (Ambrogi 1995, p. 30). Secondo Svetonio, Nerone fu sepolto in un solium por phyretici marmoris (Nero, 50), mentre Cassio Dione ricorda che l'urna cineraria di Settimio Severo era stata realizzata con questo materiale (Storia Romana, LXXVI, 15, 4).
Sull’origine dell’opera Borghese non si hanno notizie certe: il Nibby suggerisce una provenienza dal Mausoleo di Adriano, mentre lo Schneider, invece, dal Mausoleo di Augusto (Schneider 1887, p. 127). La prima ipotesi sarebbe più coerente con la datazione proposta per l’opera, il II secolo d.C., già indicata sia dal Delbrueck, nel1932, che dall’Ambrogi nel 1995 (Delbrueck 1932, pp. 155-157, fig. 73; Ambrogi 1995, pp.82-83, n. A.I.5).
La scultura Borghese, che rientra nella tipologia A.I nella classificazione individuata dall’Ambrogi nel 1995, con forma oblunga, corpo semicilindrico e parte inferiore liscia, trova confronti pertinenti all’interno della stessa tipologia: a Roma, una vasca conservata presso la chiesa dei SS. Apostoli, nella cappella di S. Eugenia; una seconda alla chiesa di Santa Maria in Aracoeli, sotto la mensa dell’altare di Sant’Elena; un’altra nella Cappella Corsini della chiesa di S. Giovanni in Laterano. Un’ultima si può individuare nella scultura esposta nel Museo del Louvre (Ambrogi 1995, pp. 61-68, 84-87, A.I.1-2, 6).
La vasca è inoltre riprodotta da Bernardino Ciferri in un disegno con il titolo “Urne de Scipion l’Africain”, del 1716-1730, eseguito per Richard Topham di Eton (Fabréga-Dubert 2020, Bm.3.20). Il collezionista, nel corso degli anni Venti del Settecento, incarica vari giovani artisti di documentare le sculture antiche attestate nei palazzi di Roma e in altre città italiane, creando una preziosissima collezione grafica oggi conservata nella College Library di Eton.
Giulia Ciccarello