Questa tela è attestata in collezione Borghese a partire dal 1633, realizzata secondo la critica nell'attiva bottega di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, contrariamente a quanto sostenuto di recente da Nicholas Turner che invece considera l'opera del tutto autografa. Il soggetto è tratto dalla Bibbia (Giudici, 14), in cui si narra che Sansone, di rientro da un viaggio per andare a conoscere la futura sposa, trova per strada la carcassa di un leone, da lui precedentemente ucciso, colonizzata nel frattempo da una moltitudine di api. Impadronitosi del favo di miele, l'eroe decide quindi di dividerlo con i genitori, senza però raccontargli nulla sulla sua provenienza.
Roma, collezione Borghese, 1633 ca. (Inventario ante 1633, Corradini 1998, p. 18, n. 196); Inventario 1693, Stanza VII, n. 389; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa tela è documentata per la prima volta in collezione Borghese intorno al 1633, descritta in un inventario della quadreria del cardinale Scipione ritrovato da Sandro Corradini nel 1998 e datato da Stefano Pierguidi al 1633 circa (2014). Segnalato nel 1650 come opera autografa del Guercino da Iacomo Manilli, che però confuse Sansone con Salomone, il quadro fu erroneamente identificato da Adolfo Venturi (1893) con la tela con analogo soggetto citata nel 1658 nel libro dei conti del pittore, considerato invece da Paola della Pergola (1955) una replica di buona mano eseguita intorno agli anni Venti. La studiosa, infatti, tenendo conto della maniera giovanile riconoscibile nel quadro e non trovando nessuna traccia del dipinto nel registro delle spese, stilato a partire dal 1629, escluse sia che l'opera potesse essere una replica del quadro citato nel 1658, sia che fosse stato eseguito dopo il 1629.
Nel 1968 sir Denis Mahon, parlando della versione autografa di Sansone che porta il favo di miele ai genitori (Norfolk, Virginia, The Crysler Museum), eseguita dall'artista centese per uno dei membri di casa Barberini, confermò quanto sostenuto da Paola della Pergola, assegnando il dipinto Borghese alla bottega del Guercino senza però riconoscervi alcun intervento dell'artista, ma soltanto una fattura "più morta e pedestre" rispetto al dipinto americano. Ribaltando completamente quanto sostenuto da Mahon, di recente Nicholas Turner (2017) ha pubblicato il dipinto come opera autografa nella monografia sull'artista, affermando che l'esecuzione veloce e affrettata di alcuni dettagli e la qualità dei materiali usati sono da interpretare in riferimento alla natura dell'opera, nata essenzialmente come 'bozzettone' della tela del Chrysler Museum.
Il soggetto rappresentato è tratto da un episodio biblico (Giudici, 14), in cui si narra che Sansone, di rientro da un viaggio per andare a conoscere la futura sposa, trova per strada la carcassa di un leone, da lui ucciso all'andata, colonizzata nel frattempo da una moltitudine di api. Impadronitosi del favo di miele, l'eroe decide quindi di dividerlo con i genitori, senza però dirgli nulla sulla sua provenienza. La scena raffigurata ritrae il momento preciso in cui Sansone porge la metà del favo ai due anziani coniugi senza però che nessun'ape popoli il dipinto, a differenza della tela autografa dove, in alto vicino al muro, volano tre api, la cui disposizione è un chiaro rimando allo stemma dei Barberini.
Un quadro con lo stesso soggetto (San Francisco, M.H. de Young Memorial Museum) e una sua replica (Roma, coll. privata) sono stati pubblicati da Mahon nel 1968 (pp. 211-212, n. 101).
Antonio Iommelli