La scultura raffigura un leone accovacciato; le dimensioni maggiori della testa, unitamente al diverso materiale e all’inserto dietro la criniera, trovato in occasione dell’ultimo restauro, rivelano l’utilizzo di un mascherone di fontana Cinquecentesco riadattato a sostituzione della testa originaria. Le analisi condotte tale occasione, supportate dalle fonti documentarie, hanno suggerito inoltre l’originaria presenza di un putto seduto sul felino. L’esemplare appartiene a una tipologia ornamentale di gusto ellenistico ampiamente attestata in ambito centro-italico e adriatico in associazione a monumenti funerari: in tale contesto, il leone svolgeva la funzione di metafora della violenza della morte e, al contempo, di esaltazione del defunto.
Originariamente parte della collezione di Giovanni Battista Della Porta, nel 1607 la scultura venne acquistata da Giovanni Battista Borghese. Documentata nella sala I fino all’inizio dell’Ottocento, fu collocata nella sala III in occasione dell’allestimento della nuova collezione di Antichità.
Acquistata nel 1607 da Giovanni Battista Borghese, la scultura, che raffigura un leone accovacciato, è descritta nell’inventario dalla collezione di Giovanni Battista Della Porta come “lione di marmo giallo con bacchietto a sedere” e ancora, a distanza di pochi anni, nell’inventario dell’eredità dello stesso principe Giovanni Battista, come “leone di breccia gialla con putto sopra” (De Lachenal 1982, p. 93, n. 212, p. 97, n. 79).
È probabilmente la stessa scultura a essere menzionata più tardi (1617) nel mandato di pagamento per il lavoro di restauro eseguito dal capomastro scalpellino Bernardino Radi, attivo per oltre un ventennio insieme al fratello Agostino in diversi cantieri promossi dalla famiglia Borghese e, in particolare, presso Villa Pinciana (Campitelli 2004). Da tale documento si evince un restauro integrativo della parte centrale della scultura, come se fosse venuta a mancare la figura che lo sormontava, e della coda (Moreno, Viacava 2003, p. 194). In effetti, i restauri compiuti alla fine degli anni Novanta hanno permesso di appurare che il corpo del felino è stato ricomposto da frammenti di alabastro diversi, soprattutto in corrispondenza del ventre, del collo, della zampa posteriore sinistra e della coda (Moreno 1997).
Nel Settecento il Montelatici e il Lamberti lo ricordano esposto nella Sala I, dove ancora è attestato dall’inventario del 1812, preservato dalla vendita a Napoleone Bonaparte perché creduto opera moderna (De Lachenal 1982, p. 104). In occasione dell’allestimento della nuova collezione di Antichità nel Casino, la scultura venne spostata nella Sala III – dove la vide il Nibby che ne apprezzava il materiale, ma non l’esecuzione “de’ tempi bassi” – e dove tutt’oggi è esposta.
La presenza di un inserto tondeggiante al centro della criniera del leone, in corrispondenza con una cavità circolare al centro della gola, unitamente alle dimensioni sproporzionate della testa, alla diversa vena di alabastro e alla foggia, confermano che il capo del felino era originariamente un mascherone di fontana cinquecentesco, riadattato poi a completamento della scultura in un momento successivo all’intervento di Radi. Animali di materiale più pregiato erano regolarmente presenti nelle collezioni secentesche, come la tigre in paonazzo nella collezione di Lelio Orsini, o il cinghiale in bigio morato della collezione Borghese, oggi al Louvre; particolarmente frequenti erano soprattutto i leoni funerari, anche in materiali non preziosi, come i due esemplari in travertino a Villa Vecchia Pamphilj (Mangiafesta 1998).
Il leone Borghese mostra strette assonanze con i leoni di ambiente egizio e specificamente, di età tolemaica: è in particolare la posizione accovacciata, con la coda disposta sopra le zampe posteriori a richiamare il leone in calcare proveniente dal Tempio di Iside Thermouthisa Medinet Madi, oggi conservato alle Civiche raccolte archeologiche e numismatiche di Milano (Moreno, Viacava 2003, p. 195). Tale iconografia è reiterata su una stele dedicata alla dea in marmo da Tebtynis (Fayum), del II sec. d.C. (Roma, MNR, N. Inv.121190).
L’esemplare appartiene una tipologia ornamentale di gusto ellenistico ampiamente presente nella cultura centro-italica e adriatica, in particolare fra età tardorepubblicana e primo-imperiale, in associazione a monumenti funerari generalmente a dado o a tamburo cilindrico o a struttura cubica con edicola cuspidata, documentati da diversi esemplari ancora in situ a Pompei, Sepino, Aquileia (Marini Calvani 1980; Todisco 2018, pp. 7-11). In tale contesto, il leone – custode del sepolcro – svolgeva la funzione di metafora della violenza della morte e, al contempo, di esaltazione del defunto.
Jessica Clementi