L’opera, probabilmente riferibile alla produzione giovanile di Domenico Puligo (Domenico Ubaldini), è documentata nella raccolta Borghese fin dal 1693, e compare nei successivi inventari del 1790 e del 1833. Già attribuito alla mano di Andrea del Sarto, dal quale Puligo fu fortemente influenzato, il dipinto è stato ricondotto a quest’ultimo da Adolfo Venturi, opinione generalmente condivisa dalla critica successiva.
Collezione Borghese, citato negli Inventario 1693, Stanza I, n. 45; Inventario 1790, Stanza IX, n. 6; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 36, n. 27. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto appare documentato per la prima volta nell’inventario Borghese nel 1693, descritto come “un quadro tondo con la Madonna il Bambino e due Angeli in tavola di grandezza 4 palmi incirca […] di Andrea del Sarto”. Con la stessa attribuzione al maestro fiorentino ritorna nel 1790 (“La Beata Vergine in un tondo, Andrea del Sarto”) e come opera di imitazione nell’elenco fidecommissario del 1833 (“Sacra Famiglia, ad imitazione di Andrea del Sarto, tondo largo nel diametro palmi 3 ½, in tavola”).
L’attribuzione del quadro a Domenico Puligo viene proposta per la prima volta da Adolfo Venturi nel 1893 (p. 214), ripresa dalla critica successiva (Longhi 1928, p. 222; Berenson 1936, p. 409; De Rinaldis 1939, p. 24; Della Pergola 1959, p. 49; Gardner 1986, pp. 150-151, Stefani 2000, p. 291, Herrmann Fiore 2006, p. 152) ed è oggi generalmente accettata. Paola Della Pergola ritiene l’opera vicina, e di stessa mano, ad altre due di analogo soggetto conservate l’una presso la Galleria Sabauda di Torino, con attribuzione alla cerchia di Ridolfo del Ghirlandaio, e l’altra nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, proveniente dal lascito di Henriette Hertz e ricondotta alla mano di Puligo.
Diversamente Patrizia La Porta (1990, p. 115) ritiene il tondo Borghese riconducibile alla produzione di Francesco d’Agnolo detto lo Spillo, fratello di Andrea del Sarto e certamente attivo al seguito di quest’ultimo. La studiosa propone quest’assegnazione sulla scorta delle affinità stilistiche con le poche opere note dell’artista, i cui modi sono indubbiamente in relazione con quelli di Puligo, data la comune matrice sartesca.
Domenico Puligo, infatti, dopo una prima formazione al seguito di Ridolfo del Ghirlandaio, instaurò uno stretto rapporto con Andrea del Sarto, dal quale derivò quello sfumato tipico della sua produzione, interpretato con maggiore incisività rispetto al maestro. Una tecnica che, secondo Giorgio Vasari (Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1568, p. 104), serviva anche a nascondere qualche incertezza nella composizione data dalla non perfetta capacità dell’artista come disegnatore.
Il dipinto Borghese presenta un formato circolare di ascendenza tardoquattrocentesca, frequente in ambito fiorentino, che ne suggerisce l’appartenenza alla produzione giovanile di Puligo, probabilmente tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento (Stefani, cit.). Una più precisa datazione agli anni 1512-1515 viene proposta da Gardner (1986, cit.) nel suo studio monografico sull’artista.
La Vergine è rappresentata in posizione frontale, con in braccio il Bambino nudo e in atto benedicente. I due angeli posti ai lati della composizione, uno con il libro in mano, sono alternati nella posa: quello di destra è frontale ma con il viso rivolto alla Madonna, mentre quello di sinistra è rappresentato di profilo ma con lo sguardo diretto verso lo spettatore. Gli arti del Bambino, dai contorni un po’ grossolani, sono in una posizione del tutto di priva di naturalezza, motivo che ha spinto a rilevare la vicinanza di questa figura con quella analoga nel dipinto Madonna col Bambino, San Giuseppe e San Giovannino del cosiddetto Maestro dei Paesaggi Kress (Giovanni di Lorenzo Lanciani), anch’esso parte della collezione Borghese (inv. 332; Stefani, cit.).
L’aureola di Maria e le figure dei due angeli, soprattutto quello di destra, sembrano tagliate, forse a causa di una riduzione del supporto rispetto all’elaborazione originale.
Pier Ludovico Puddu