Il dipinto è sicuramente rintracciabile negli inventari solo a partire dal fidecommisso del 1833. Il soggetto della tela, comunemente definito ‘Sacra conversazione’, sarà particolarmente gradito alla committenza privata, tanto da avere uno straordinario successo nel secolo XVI. Ai lati della Vergine, assisa su un trono dal basamento scolpito, sono inginocchiati i due committenti del quadro, rispettivamente presentati a sinistra da santa Barbara, identificabile per l'attributo della torre, e a destra da santa Cristina, che reca sotto il braccio la pietra da macina del martirio.
Roma, Collezione Borghese, citato per la prima volta nell’Inventario Fidecommissario Borghese 1833. Acquisto dello Stato, 1902.
La presenza dell’opera in collezione è riscontrata con certezza solo a partire dall’inventario del Fidecommisso del 1833 dove è ricordata “La Madonna, Bambino e altri Santi, Veneziano, largo palmi 8½, alto palmi 6” (p. 18). Successivamente ha avuto inizio quello che Della Pergola definisce “la ridda delle attribuzioni” (Della Pergola 1955, I, pp. 123-124). L’autore fu dapprima identificato in Caliari (Cavalcaselle 1864, IV, p. 164), poi Morelli, seguito da Berenson, pensò l’opera come una copia antica da un originale perduto di Lotto (Morelli 1892, pp. 237-238; Berenson 1895, ed. 1901, pp. 114-116). Gombosi la ritenne del tardo Previtali (1932, p. 175), mentre maggiormente condivisa fu la tesi di Longhi che la identificò quale opera di Palma il Vecchio, eseguita intorno al 1510 (Longhi 1928, pp. 48, ss.; Sphan 1932, p. 188; De Rinaldis 1948, p. 90) Della stessa opinione Della Pergola, pur riconoscendo come “i riferimenti al Lotto siano molti, dal Bambino sia nel movimento che nel perlaceo delle carni, alle foglie di rosa sparse in terra, ai fiocchi delle vesti femminili, e all’albero carico di frutti dietro la Vergine” (Della Pergola 1955, I, pp. 123-124). Elementi ritenuti troppo rigidi per vedervi una partecipazione del Lotto e da intendere solo come motivo di ispirazione. Ancora dalla studiosa, maggiori furono ritenute le tangenze con l’opera di Palma il Vecchio. Sono tuttavia le parole di Longhi a dare respiro al questa proposta d’attribuzione, riconoscendo come nell’opera “già si manifesta personale e inconfondibile in quell’impreziosire e purificare la grana del colore che, fatto piazzoso per il ritirarsi dell'ombra nelle crepe dei bordi, può mantenere… una purezza di gemma disciolta; come in quella manica tutta azzurra della santa, o in quella tutt'oro della committente; e si dica dunque se quel limitar di netto e senza fusione il taglio delle isole di colore, che paiono quasi galleggiare, se chiare, sugli scuri, non sia, in fieri, l'intendimento fastoso e ostensivo che raggiungerà, circa dieci anni dopo, le supremità inconfondibili delle “Tre sorelle” di Dresda. È appunto il chiaro inizio, in quest'opera, di quella disperata ‘lacualità’ del colore che ci toglie quasi ogni dubbio circa la sua appartenenza ai primi tempi del Palma” (Longhi 1928, pp. 48, s).
Rispetto alla tradizione cambiano i riferimenti stilistici, ormai pronti a condensare entro pochissimi scompartimenti cromatici tutta la composizione, fatto derivante dall’osservazione e da una maggiore comprensione di Tiziano. Uno sguardo al passato è certamente quello che vuole la presenza araldica dei committenti schierati di profilo: una tradizione figurativa d’ampio raggio, ma che ha visto quali termini più vicini al dipinto Borghese la Pala Barbarigo di Giovanni Bellini del 1488, nella chiesa di San Pietro martire a Murano, e ancor più prossima, la Pala Pesaro di Tiziano, chiamata in causa da Longhi.
Modelli antichi sono stati visti anche nella tipologia di abiti delle sante, in cui ritorna la foggia tardoquattrocentesca di matrice lombarda, evidente nei nastri a chiusura delle maniche di Santa Barbara, mentre già di inizio Cinquecento è lo spunto aggiornato delle maniche ridondanti, come già nell’Incoronazione di Isabella d’Este dipinta da Lorenzo Costa per lo studiolo tra il 1504 e il 1506 (Villa 2015, pp. 82-84). Villa ritiene che la stessa ripresa del modello di Dürer, quello della Festa del Rosario di Praga, sia evidente “nel colore brillante e alto di tono”. E ancora, per lo studioso, nonostante la prossimità cronologica, la conoscenza di Dürer sarebbe avvenuta attraverso la mediazione di Lorenzo Lotto, come è evidente nel colore, nel gruppo della Madonna con il Bambino e nel committente.
Fabrizio Carinci