La tavola, forse proveniente dalla collezione di Antonio Maria Salviati, è stata attribuita dalla critica al pittore pistoiese Leonardo Grazia, artista toscano attivo a Roma nella prima metà del XVI secolo, autore di raffinatissime composizioni su tavola e lavagna.
Raffigura la Vergine col Bambino, ritratta in compagnia di sua cugina Elisabetta e del piccolo Giovanni Battista. Questi, nell'offrire un cardellino a Gesù, sta ricordando all'osservatore la sua passione. Secondo la tradizione, infatti, il volatile si macchiò indelebilmente del sangue di Cristo, dopo aver tentato di estrargli una spina dalla fronte. Alcune idee compositive, come l'esedra alle spalle di Maria, e il tratto alquanto duro del disegno inducono ad avvicinare questo dipinto a quel gruppo di opere che attingono a pie' mani alle soluzioni di Giulio Romano.
(?) Roma, collezione Antonio Maria Salviati, 1634 (Della Pergola 1959); (?) Roma, collezione Borghese, 1794; Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 38). Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo una vecchia ipotesi di Paola della Pergola (1964), quest'opera sarebbe identificabile con il dipinto elencato nell'inventario Borghese del 1693 ("un quadro in tela [sic!] di diverse figure con un Anfiteatro [...] di Mecherin da Siena"), pista resa però impraticabile dalla descrizione dell'autore che parla di una composizione su tela e non su tavola. Scartata tale ipotesi, resta al momento percorribile un'altra strada che vedrebbe il quadro provenire dalla collezione seicentesca del cardinale Antonio Maria Salviati (Della Pergola 1959). Tuttavia, se così fosse, l'opera sarebbe giunta nel casino pinciano solo nel 1794 - anno in cui la quadreria Salviati confluì in quella Borghese (Costamagna 2001) - e non nella prima metà del Seicento come invece erroneamente ipotizzato dalla studiosa (1959). Tra l'altro, percorrendo questa pista, si spiegherebbe l'assenza del quadro negli inventari borghesiani sei-settecenteschi e la sua effettiva presenza a partire dal 1833, anno in cui risulta descritto negli elenchi fedecommissari con un'attribuzione a Giulio Romano, nome ripetuto da Giovanni Piancastelli (1891) ma scartato da Adolfo Venturi in favore di Girolamo Siciolante da Sermoneta (Venturi 1893).
Rammentando il vecchio giudizio espresso dall'estensore del Fidecommisso, nel 1928 Roberto Longhi parlò di una debole derivazione da modelli del Pippi, tesi ripresa da Della Pergola (1959) che però al contempo non escluse l'autografia di Vincenzo Tamagni, già sostenuta da Federico Zeri (parere orale; cfr. Della Pergola 1959), trattandosi - a detta della direttrice - di un'opera derivata da una stampa come lascerebbe supporre il dettaglio architettonico, raffigurato al rovescio alle spalle della Vergine, ripreso dalla tavola di Santa Maria dell'Anima di Giulio Romano.
Discostandosi dalle attribuzioni, ma non dall'ambito proposto dai suoi colleghi, nel 1959 Ferdinando Bologna parlò per la prima volta di Leonardo da Pistoia, alias Leonardo Grazia, artista toscano, attivo nella prima metà del XVI secolo tra Lucca, Roma e Napoli la cui personalità, equivocata in passato con quella di altri suoi conterranei, come Leonardo Malatesta, Leonardo di Bernardino e Bartolomeo Guelfo (Bisceglia 1996; Cannatà 2002), è stata recentemente messa a fuoco (si vedano da ultimo Leone de Castris 2019, pp. 80-82; Corso 2018). Tale nome, appoggiato da Anna Bisceglia (1996), è stato confermato da tutta la critica (Leone de Castris 1988; Id. 1996) e di recente da Michela Corso (2018), secondo cui la tavola - un prodotto giovanile eseguito a Roma (cfr. Bisceglia 1996) - si inserirebbe con coerenza nello sviluppo stilistico del pittore. In effetti, non è difficile immaginare che il pistoiese, probabile collaboratore di Giulio nella commissione Fugger di Santa Maria dell'Anima (Leone de Castris 1988; Id. 2019), avesse messo a frutto tale esperienza nella produzione di numerose Sacre famiglie e Madonne con il Bambino, tra le quali rientra la versione Borghese, in cui in aggiunta al palese prelievo dalla pala del Pippi, ci sono chiari rimandi ai putti di Rosso Fiorentino come tradiscono i volti paffuto dei due fanciulli (Bisceglia 1996).
Una variante di questo dipinto, con un'attribuzione al Pistoia, è apparsa in passato sul mercato antiquario (Vendita Foresti, 13-17 maggio 1913, n. 209; cfr. Leone de Castris 1996, p. 86; Corso 2018).
Antonio Iommelli