Questa tela raffigura un episodio noto della vita di Caterina da Siena, quando in fin di vita la santa rivela al mondo le sacre stimmate, ricevute in dono durante un'estasi nel 1375. Secondo la Legenda maior sanctae Catharinae Senensis, infatti, la mistica chiese espressamente al suo divino sposo di rendere invisibili le piaghe, rivivendone il dolore nel segreto del suo cuore.
La santa è qui rappresentata con i suoi tipici attributi iconografici - l'abito domenicano, la corona di spine, il cuore, il crocifisso, il giglio e il più raro manipolo - mentre esanime è sorretta da due angeli.
Questa tela è segnalata per la prima volta in collezione Borghese nel 1790, registrata nell'inventario di quell'anno con il preciso riferimento ad Agostino Carracci, noto pittore bolognese, fratello di Annibale e cugino di Ludovico. L'assegnazione dell'opera al catalogo di Agostino è confermata negli elenchi fedecommissari del 1833, rivista successivamente in favore di Ludovico sia da Giovanni Piancastelli (1891) e Adolfo Venturi (1893), sia da Heinrich Bodmer (1939) che preferì parlare di opera della scuola di Ludovico al contrario di Roberto Longhi (1928) che invece vi aveva visto una "derivazione da un modello piuttosto di Annibale che di Ludovico".
Nel 1955 Paola della Pergola pubblicò senza alcuna riserva la tela come opera autografa di Agostino Carracci, parere accolto positivamente da tutta la critica (Stefani 2000; Herrmann Fiore 2006; Terribili 2009), ad eccezione di Stephen E. Ostrow (1966).
L'opera rivela certamente l'interesse nutrito da Agostino per quei "moti dell'animo", ricercati dal bolognese soprattutto nelle opere di Correggio, riproducendo di fatto - come in questa tela di destinazione privata - quell'intenso patetismo che invita implicitamente l'osservatore a partecipare alla drammaticità della scena.
Antonio Iommelli