Il ritratto, già avvicinato alla scuola raffaellesca, è stato attribuito dalla critica al pittore Andrea Piccinelli detto il Brescianino. Coerentemente alla sua produzione ritrattistica, questo dipinto si caratterizza per una forte idealizzazione dei tratti fisiognomici, mostrando al contempo una scarsa capacità di penetrazione psicologica tipica del pittore.
La presenza, accanto alla spalla della giovane di una ruota dentata, attributo tipico di santa Caterina d'Alessandra, allude con buona probabilità al nome dell'effigiata.
Cornice seicentesca con kymation, fregio d’acanto e palmette (cm 59 x 48 x 5,2)
Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 24). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota. L'opera, infatti, è attestata per la prima volta in casa Borghese a partire dal 1833, descritta dall'autore degli elenchi fedecommissari come opera di scuola raffaellesca. Avvicinato da Adolfo Venturi (1893) all'ambito toscano, in particolare a Santi di Tito, fu Bernard Berenson ad assegnarlo per primo al catalogo di Andrea del Bresciano (1909), nome accolto da tutta la critica (Frizzoni 1912; Longhi 1928; De Rinaldis 1948) e da ultimi da Michele Maccherini (1988) e Kristina Herrmann Fiore (2006). Secondo Paola della Pergola (Ead. 1959), che non esita a pubblicarla come opera autografa del pittore bresciano, l'artista avrebbe usato la stessa modella della Venere con due amorini (inv. 324).
Questa tavola, che tradisce una certa conoscenza delle opere di Domenico Beccafumi e Andrea del Sarto, risulta molto vicina al Ritratto di donna della collezione Cagnola datato da Daniela Parenti intorno al terzo decennio del XVI secolo (Parenti 1998). In attesa di una prima sistemazione cronologica dei ritratti del Brescianino, l'ipotesi di datazione suggerita per il dipinto Cagnola è qui estesa al Ritratto Borghese.
Antonio Iommelli