Il dipinto rappresenta Santa Caterina d’Alessandria a mezza figura, caratterizzata dagli attributi tipici del martirio, la palma e la ruota dentata, e dalla corona, segno del suo rango principesco.
Il quadro è attestato in collezione Borghese fin dal Seicento con l’attribuzione a Federico Barocci, tuttavia la sua piena autografia è stata più volte discussa. L’evidente affinità dell’opera con i modi del maestro urbinate ha indotto la critica a ricercarne l’autore nell’ambito della sua cerchia, ipotizzando il nome dello scolaro Alessandro Vitali.
Salvator Rosa cm: 89 x 77,5 x 6,5
Collezione Scipione Borghese (?); Inventario ante 1633, n. 82 (?) (Corradini 1998, p. 452); Inventario 1693, Stanza IV, n. 6; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 9. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto è una rappresentazione a mezza figura di Santa Caterina d’Alessandria, raffigurata in atteggiamento devozionale con lo sguardo rivolto verso l’alto e la mano destra sul petto. La santa è riconoscibile dalla corona che porta sul capo, segno del suo rango principesco, e dai simboli del suo martirio, la palma e la ruota dentata che si intravede nella parte inferiore del dipinto. All’anulare sinistro è visibile la fede nuziale che rimanda al matrimonio con Gesù Bambino, altro tema diffuso nell’ambito della rappresentazione pittorica della santa.
L’opera è documentata nella raccolta Borghese fin dal Seicento. Il riferimento più antico è forse individuabile nel “quadro di santa Caterina, alto 2 2/3 largo 2 1/3 cornice di pero intagliata. Baroccio” descritto nell’inventario del cardinale Scipione (già datato 1615-1630 da Corradini 1998, p. 449, ma oggi generalmente riferito ai primi anni Trenta. Per esempio si veda S. Pierguidi, “In materia totale di pitture si rivolsero al singolar Museo Borghesiano”, in “Journal of the History of Collections”, XXVI, 2014, pp. 161-170) e che differisce leggermente dalla tela Borghese solo nelle dimensioni. Notizie più certe del dipinto compaiono successivamente nella guida della Villa Pinciana redatta da Jacopo Manilli (1650, p. 88) e nell’inventario Borghese del 1693, in entrambi i casi con l’attribuzione a Barocci. Nel secolo successivo si segnala un’unica possibile corrispondenza con il quadro descritto genericamente come “Una Santa” di Barocci nell’elenco di opere databile 1790. Il dipinto è stato poi riconosciuto nell’inventario fidecommissario del 1833 alla voce “Santa Caterina della Rota, del Parmigianino” (Della Pergola 1959, p. 70, n. 101), riferimento che non sembra tuttavia convincente data la presenza in collezione di un dipinto di stesso soggetto e simili dimensioni oggi considerato una copia dall’artista parmense.
La Santa Caterina è molto affine ai modi di Barocci ma la sua autografia non è unanimemente condivisa dagli studiosi. Venturi (1893, p. 89) cataloga la tela sotto il nome del maestro urbinate ma ne sottolinea alcune debolezze nell’esecuzione, mentre Cantalamessa (1912, n. 111) la riferisce allo scolaro Alessandro Vitali. Quest’ultima attribuzione incontra le perplessità di Longhi (1928, p. 187), convinto sostenitore della paternità baroccesca del dipinto, che tuttavia gli studi successivi hanno teso a ridimensionare. A metà del Novecento Della Pergola (cit.) riconduce cautamente l’opera alla maniera del Barocci e così anche, in tempi recenti, Herrmann Fiore (2006, p. 41), mentre Olsen (1955, pp. 178-179; 1962, pp. 208-209) ripropone il nome di Alessandro Vitali già avanzato da Cantalamessa (cit.).
La tela Borghese è in stretto rapporto con la Santa Caterina a figura intera conservata in Palazzo Rosso a Genova, considerata opera di bottega, da cui si discosta per alcuni particolari quali per esempio la posizione del braccio destro, raccolto sul petto e non aperto in atteggiamento devozionale, o la presenza della corona sul capo della santa, che nel dipinto genovese compare invece ai suoi piedi. Un’altra versione a mezza figura analoga alla tela Borghese fa parte della collezione del Louvre (in deposito presso il Musée des Beaux-Arts di Chambéry) ed è stata anch’essa ricondotta alla mano di Vitali. Secondo Olsen (1955, cit.; 1962, cit.) le due opere sono copie della Santa Caterina citata da Bellori (1672, p. 194) nella biografia di Barocci, in cui si legge: “Al Conte Francesco Maria Mamiani colorì due mezze figure, Santa Caterina, e San Sebastiano con le saette in una mano, l’altra piegata al petto, rivolto ad uno splendore celeste”.
Lo studioso collega la rappresentazione della santa a quella della Beata Michelina, dipinta da Barocci per la chiesa di San Francesco a Pesaro nel 1606 (oggi nella Pinacoteca Vaticana), di cui una copia in disegno si conserva nella Galleria Borghese (inv. 581).
Pier Ludovico Puddu