La tela, replica variata della Madonna dal collo lungo iniziata dal Parmigianino nel 1534 e mai terminata, risulta documentata in collezione Borghese a partire dal 1693. Tuttavia, nel dipinto in esame la figura della Vergine viene trasformata in quella di santa Caterina d'Alessandria, raffigurata con i suoi canonici attributi: la corona sul capo, la spada e la ruota dentata, strumento che, secondo il racconto agiografico, venne spezzato dalla santa durante il martirio.
Salvator Rosa (cm 88,5 x 76,5 x 6)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IV, n. 13; Della Pergola 1955); 1700 (Montelatici 1700); Inventario 1790, Stanza IV, n. 56; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 9. Acquisto dello Stato, 1902.
La prima menzione di questa teletta, dalla provenienza ignota, risale al 1693, segnalata tra i beni di casa Borghese come opera autografa di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (Inv. 1693), nome ripreso nel 1790 (Inv. 1790) e come tale confermato dall'autore degli elenchi fedecommissari ottocenteschi (Inv. Fid. 1833). Il dipinto, una replica variata della Madonna dal collo lungo del Parmigianino (Firenze, Gallerie degli Uffizi, inv. 230), non deve essere affatto confuso con l'esemplare, oggi perduto, così descritto nel 1700 da Domenico Montelatici nella medesima raccolta: "lo Sposalizio di santa Caterina martire, con Giesù bambino in braccio a Maria Vergine, il quale prende la mano alla santa per metterle in dito l'anello" (Montelatici 1700). Si tratta, infatti, come si può leggere, di un momento diverso della vita della santa, qui ritratta al posto della Vergine, con la spada e la corona sul capo, mentre indossa già l'anello, un dettaglio che, in aggiunta all'assenza di Maria e del piccolo Gesù, fa dunque cadere ogni tentativo di identificarla con la composizione ricordata dallo scrittore.
Per quanto concerne l'autore, nel 1928 Roberto Longhi propose di assegnare la teletta al catalogo di Ludovico Carracci, collocando cronologicamente il quadro Borghese tra il 1580-90; parere scartato sia dal Bodmer (1939), che lo classificò come 'Opera di Scuola del Parmigianino', sia da Paola della Pergola (1955) la quale, ritenendolo uno studio, giudicò il dipinto una libera interpretazione della Madonna dal collo lungo dell'artista parmense.
Dopo anni di oblio, nel 2006 la tela è apparsa nel catalogo per immagini della Galleria Borghese come 'Variazione da Parmigianino', realizzata a detta della critica (cfr. Herrmann Fiore 2006) dal pittore bolognese Domenico Zampieri intorno al 1610. Tale giudizio, mai vagliato dagli studi, riporta di certo il quadro nel solco della pittura emiliana, dove opere di questo livello furono ammirate e studiate dagli artisti locali, non potendo non misurarsi con capolavori di tale portata. Di fatto, la Madonna dal collo lungo di Francesco Mazzola, qui finta nei panni della vergine alessandrina, rappresenta da sempre un esempio di eleganza e stravaganza che, pur nella sua maniera anticlassica, non perde quella raffinatezza tanto amata e ricercata dai pittori di tutte le generazioni.
Antonio Iommelli