La tela è identificabile nell'inventario del 1700 con la curiosa attribuzione a Pietro Giulianello, che in realtà ne era probabilmente il proprietario; questo nome ricorre anche a proposito dell'altro dipinto, anch’esso su tela, della collezione: il Cristo e la Samaritana. Il quadro è considerato dagli studiosi opera realizzata dalla bottega del pittore ferrarese.
Collezione Borghese, Inv. 1693, Stanza III, n. 140; Inventario 1790, Stanza V, n. 43; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
Negli inventari della collezione Borghese in cui è presente il dipinto si trova l’attribuzione al misterioso Pietro Giulianello, personaggio citato in ben due indicazioni documentarie della collezione Borghese (inv. 235) e ancora dai contorni poco chiari, ma nel quale probabilmente non è da identificare il pittore, bensì il proprietario originario dell’opera o l’intermediario per l’acquisizione. L’attribuzione al fantomatico maestro venne ripresa dalla prima letteratura (Lanzi 1834; Platner 1842), per poi essere correttamente riportato alla mano del Garofalo o della sua scuola verso la fine del XIX secolo (Morelli 1890; Venturi 1893). Nel catalogo della Galleria (Della Pergola 1955) è stata per la prima volta tracciata la storia dell’equivoco attribuzionistico, facendone emergere anche la ripetitività nei documenti.
A seguito del restauro del 2001 è caduto qualsiasi dubbio circa la paternità dell’opera al Tisi, vista l’altissima qualità della pittura e la perfetta unione tra paesaggio e figure allungate dei personaggi, motivi che potrebbero aver disorientato la critica otto-novecentesca (Danieli 2008) fino agli ultimi contributi dell’inizio degli anni Duemila, quando il dipinto è stato ricondotto ad un seguace del Garofalo con parziali rimaneggiamenti del Seicento (Herrmann Fiore 2002) che gli interventi conservativi hanno riconosciuto unicamente nella zona del diadema della Maddalena.
L’episodio evangelico (Giovanni 20, 17) non era nuovo alla produzione garofalesca. Il prototipo figurativo di questa tela è indubbiamente riconoscibile nella composizione conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara (inv. PNFe 305) della quale è nota una copia a Roma nella collezione di Palazzo Barberini (Mochi Onori in Il museo senza confini 2002, p. 94 scheda 19, in deposito presso la Corte dei Conti dal 1949). La versione Borghese, soprattutto grazie all’osservazione della gestualità, sembrerebbe una commistione tra l’opera ferrarese, databile intorno al 1525, e il dipinto oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. Gemäldegalerie, 6757), risalente agli anni Trenta del XVI secolo e proveniente dalla collezione del banchiere austriaco di origine italiana Camillo Castiglioni (1928).
La composizione originaria non prevedeva il fattore boschivo all’interno dell’elemento paesaggistico, concepito unicamente come un borgo che si affaccia su uno scenario acquatico. In primo piano, il Cristo si appoggia sul suo bastone lievemente proteso in avanti, quasi come in un delicatissimo passo di danza, e con il braccio sinistro compie il tipico gesto di allontanamento del “noli me tangere” verso la Maddalena. La donna, riccamente abbigliata così come in uso presso le nobildonne negli anni Trenta del Cinquecento, tiene nella mano sinistra un meraviglioso vasetto per gli unguenti e si inginocchia elegantemente come avvolta in una brezza che sembra emanata dal gesto di Gesù e che coinvolge il panneggio rosso di cui è fasciata.
Lara Scanu