Il mosaico, datato e firmato in basso al centro, fu eseguito nel 1618 da Marcello Provenzale per il cardinale Scipione Borghese, il cui stemma - un'aquila e un drago - è evocato virtualmente alla destra del protagonista e nei quattro medaglioni inseriti nella cornice alla greca che corre lungo il bordo.
L'opera rappresenta Orfeo che, seduto sotto una quercia, intona un canto di angoscia, la cui melodia, secondo quanto narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, addolcì i cuori più duri, attraendo a sè una moltitudine di fiere. Il giovane musico, infatti, è ritratto insieme ad alcuni animali, tra i quali si riconoscono rettili, volatili e felini, che compongono una sorta di campionario zoologico della fauna allora conosciuta, in linea con gli interessi naturalistici dell'epoca. Alle spalle del protagonista, inoltre, si intravede l'accesso al mondo degli inferi che rimanda alla triste vicenda di Euridice, la giovane e bella ninfa amata da Orfeo, rapita dalla morte in seguito al morso di un serpente. Secondo il mito, infatti, la sua anima, riportata per un attimo su questa terra, fu rispedita per sempre nell'aldilà dopo che l'eroe, contravvenendo a un divieto impostogli da Ade, si voltò sulla soglia degli inferi a guardare la sua sposa, perdendola definitivamente.
Questo mosaico fu eseguito nel 1618 da Marcello Provenzale per il cardinale Scipione Borghese, come si evince dalla data - leggibile lungo il bordo inferiore - e dallo stemma araldico del prelato, riprodotto dall'artista all'interno della composizione. Qui, infatti, alla destra di Orfeo si scorgono il drago e l'aquila Borghese che attratti dal suono di una lira da braccio, si avvicinano al giovane confondendosi con gli altri animali.
Questa composizione, segnalata da diverse fonti (Baglione 1642. Furietti 1752. Ciampini 1690. Rossini 1725), è citata in tutti gli inventari della collezione e costituisce una delle opere più celebri e raffinate del mosaicista centese. Rappresenta Orfeo, il giovane pastore sceso negli inferi per riportare sulla terra l'anima della ninfa Euridice, morta anzitempo per il morso di un serpente. Fallito in questo suo tentativo, il giovane pianse la perdita dell'amata, intonando un triste canto che ammansì il cuore di tutti gli animali: egli, infatti, è qui ritratto mentre seduto sotto una quercia si appresta a toccare con un archetto le corde della lira mentre alle sue spalle, sulla destra, s'intravede tra le fiamme l'accesso all'inferno.
Il soggetto, che affonda le radici nel solco di una lunga tradizione iconografico-simbolica sviluppatasi intorno a questo tema, secondo Camilla Fiore (2010), alluderebbe alla famiglia Borghese e, in particolare, a Scipione, qui celebrato da Provenzale come novello Apollo, perfetto principe ed esempio di Buon Governo. La studiosa, inoltre, leggendo l'iscrizione riportata in calce a un'incisione di Giovanni Battista Pasqualini, tratta nel 1622 dal mosaico Borghese, ha rintracciato una velata autocelebrazione del centese che raffiguratosi nei panni di Orfeo avrebbe accennato alla sua innata capacità di attrarre gli animi più sensibili e di dare vita alle "pietre", sfatando tra l'altro l'idea della sua arte come mera esecuzione di modelli altrui. Di fatto, l'iscrizione di Pasqualini, parente tra l'altro di Marcello, recita: "All'Ill[ustrissi]mo Sig[no]re il sig[no]r Cardinale Borghese. S'il canto di Orfeo rese vita all'ombre, e tirò le fiere ad udirlo, et se quel d'Anfione attrasse le dure pietre in si fatta copia, che ne fur costrutte le fortissime mura di Tebe. Hoggi la rara virtù del sig[no]r Marcello Provenzale unico in condur lavori a musaico, richiama al mondo l'istesso Orfeo, et attrahe gli animali al suon della muta sua lira, et con 100 migliaia di minutissime pietre in questa breve opra commesse e dotate d'una perpetua di vaghissimi e non più visti colori, fabrica una difesa contra l'oblio del suo nome, et una eterna memoria alle magnificenza di V[ostra] S[ignoria] Ill[ustrissi]ma la quale tirando à se l'ossequio ancor dei metalli, gradirà l'intaglio che io le consacro del mio, dovuto à lei per quelle molte ragioni, che sforzano gl'istessi animali irragionevoli e crudi à rappresentare, come in secol d'oro, la gloriosa insegna Borghese, sotto le sue grand'ali, allettatrice di nuovi Orfei. Et a V[ostra] S[ignori]a Ill[ustrissi]ma faccio umilissima riverenza, In Roma a 14 di febraio 1622. Di sua V[ostra] S[ignori]a Ill[ustrissi]ma et Rev[erendissi]ma Humil[me]nte et Dev[otame]nte Serv[ito]re Gio[vanni] Battista Pasqualini".
Secondo Alvar Gonzalez-Palacios (1976), infine, la figura di Orfeo si rifarebbe pedissequamente all'allegoria del Premio di Giuseppe Cesari (Roma, Gabinetto Nazionale per la Grafica, inv. F.C. 31256), come testimonierebbe l'analoga disposizione dei piedi e il gioco degli arti superiori. ipotesi messa in discussione dalla Fiore (2010) che, pur notando certe similitudini, preferisce parlare di "influssi" derivatigli da più modelli.
Antonio Iommelli