Il dipinto fu eseguito da Tierce in pendant con il Paesaggio con Polidamante, per completare con raffigurazioni di eroi e guerrieri la decorazione della sala, già denominata “del Gladiatore” dalla celebre omonima statua trasferita a Parigi nel 1808 a seguito della vendita a Napoleone della collezione delle antichità. Tierce, discendente di una famiglia di pittori originari della Normandia, si trasferì nel 1772 a Firenze e passò quindi a Napoli, per stabilirsi nel 1777 a Roma. Il quadro si ispira alle gesta di Milone di Crotone, atleta e condottiero dalla forza straordinaria, narrate da Pausania. Secondo la leggenda Milone fu tradito dalla eccessiva fiducia nella sua forza straordinaria: nell’intento di spezzare in due parti un possente tronco con le sole mani, inserendole in una fenditura, vi rimase incastrato e divenne preda di un branco di lupi.
Commissionato da Marcantonio IV Borghese per la stanza del Gladiatore della villa Borghese, 1781 ca.; 1891, rimosso dalla villa in quanto escluso dal fidecommisso del 1833; 1983, collezione Mauro Bolognini; 2003, acquisto dello Stato.
Il soggetto del dipinto si ispira alle gesta di Milone di Crotone, atleta e condottiero dalla forza straordinaria le cui imprese, come nel caso del pendant esposto sulla parete opposta della medesima sala raffigurante Paesaggio con Polidamante che uccide il leone sul monte Olimpo o Il Mattino (inv. 604), sono narrate da Pausania nella Periegesi (libro VI, cap. XIV, 8) e da altri autori, tra i quali Aulo Gellio (Giornale delle Belle Arti, maggio 1784, p. 157).
Il dipinto venne realizzato per la decorazione delle pareti della Sala di Enea e Anchise (sala VI), già denominata “Stanza del Gladiatore” dalla celebre statua del V secolo, originale greco di Agasia, trasferita a Parigi nel 1808 a seguito della vendita a Napoleone della collezione di antichità. La decorazione dell’ambiente era stata inizialmente affidata a Laurent Pécheux (1729-1821) che, in tema con il capolavoro archeologico, ideò per la partitura centrale della volta un soggetto di carattere epico, il Concilio degli dei (1782), tratto dal XXIV libro dell’Iliade (per alcuni studi sulla composizione cfr. Laveissière 2012, pp. 174-177). I documenti lasciano intuire che l’artista avesse ricevuto da tempo l’incarico per le altre tele della sala, sempre dedicate a temi Omerici (González-Palacios 1993, p. 31, appendice 4). Nominato tuttavia nel 1777 direttore della Reale Accademia di Torino, la parte restante dell’incarico venne affidata a Jean-Baptiste Tierce, discendente da una famiglia di pittori originari della Normandia. Artista irrequieto, spostatosi tra Parigi, Aix-en-Provence e Marsiglia sotto i buoni uffici di diversi protettori, tra cui Jean-Baptiste Jérôme Bruny, barone della Tour d’Aigues, Tierce giunse nel 1772 a Firenze, ricevendo apprezzamenti dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo, e successivamente a Napoli dove sviluppò le capacità di paesaggista ed ebbe modo di ampliare le sue relazioni entrando in contatto, tra gli altri, con l’ambasciatore inglese sir William Hamilton e il marchese de Sade, che avrebbe accompagnato negli itinerari campani del “Grand Tour”. Nel 1777 si stabilì definitivamente a Roma, avvicinandosi all’Accademia di Francia e realizzando vari paesaggi, tra cui I templi di Paestum e una Tempesta (Tolosa, Musée des Augustins) per il cardinale di Bernis (Michel 1995, p. III) e la Cascata di Tivoli con cavalieri, cacciatori e lavandaie (Firenze, Galleria degli Uffizi) per il granduca di Toscana. Il clima favorevole al pittore è peraltro confermato dalla successiva commissione del dipinto celebrativo Pio VI in visita nelle paludi pontine (1780) (Rosenberg 1977, p. 197). Giunge in questo contesto l’incarico del principe Marcantonio IV Borghese, sul quale Tierce nel gennaio 1782 risulta già impegnato a fare schizzi. Nell’agosto dello stesso anno Pécheux spedisce da Torino la tela per il soffitto. Per la realizzazione Tierce tuttavia abbandona il tema epico della guerra di Troia, dedicandosi alla descrizione delle gesta degli atleti vincitori dei giochi olimpici, Polidamante e Milone, e dall’eroe mitologico Teseo; soggetti, a cui il pittore non risulta si fosse mai cimentato fino a quel momento e pienamente coerenti con le quattro statue di atleti previste per il nuovo allestimento (Discoforo, Cestiario, Atleta in atto di ungersi, Atleta vincitore, Parigi, Louvre, invv. Ma 89; Ma 68; Ma 87; Ma 375 ), che vennero disposte ai lati di ciascuna tela, come illustrato da uno dei disegni di Charles Percier (González-Palacios 1993, p. 23, fig. 25).
Il racconto leggendario vuole che Milone sia stato tradito dalla eccessiva fiducia nella sua forza straordinaria. Di fronte a un possente tronco tenuto aperto da cunei per la stagionatura, nell’intento di spezzarlo in due parti con le mani nude, vi rimase imprigionato venendo così assalito da un branco di lupi. Tierce aveva già trattato il medesimo soggetto in uno studio grafico di formato orizzontale, già in collezione De Sade, come segnalato a chi scrive da Olivier Michel (Donatien Alphonse François, marquis de Sade…1999; M. Minozzi in La Stanza del Gladiatore, 2003, pp. 168), sostituendo ai lupi la presenza di un leone. Nella grande tela lo sperone roccioso sormontato dall’albero si apre verso un paesaggio classicheggiante illuminato dalla tenue luce crepuscolare fino al lontano scorcio di una marina. Un gruppo di figure femminili nei pressi di una grande ara sembrano richiamate dal tragico evento che si svolge in primo piano, dove il leone sta assalendo l’eroe ormai indifeso.
Nel mese di maggio 1784 il Giornale delle belle arti descriveva lo splendore della sala dove, sulla parete adiacente alla stanza dell’Ermafrodito, trovavano posto anche i due sovrapporta, oggi purtroppo non più in situ, che completavano l’allegoria delle ore del giorno: Polidamante stacca l’unghia al toro o Il Mezzogiorno e Teseo ritrova la spada e i sandali del padre rimuovendo un macigno o La notte.
Marina Minozzi