Secondo la critica, questo piccolo rame, acquistato come opera di Jean-Antoine Watteau, farebbe parte del gruppo di sette dipinti di autori fiamminghi venduto nel 1783 dal mercante Giovanni De Rossi al principe Marcantonio IV Borghese. Anche se in maniera alquanto debole sembra riprendere i modi di Nicolas Lancret, pittore francese, famoso per le sue scene festose e raffinate, allievo come Watteau di Claude Gillot. Raffigura un personaggio in costume da ballo - forse una maschera della commedia dell'arte - accompagnato da un suonatore di flauto, quest'ultimo ritratto di spalle.
Cornice cm 32 x 28,8 x 4,7
(?) Roma, acquistato da Marcantonio IV Borghese presso Giovanni De Rossi per il tramite di Antonio Asprucci, 30 gennaio 1783 (Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario 1833, p. 29. Acquisto dello Stato, 1902.
Quest'opera è stata identificata da Paola della Pergola con uno dei due Pastorali 'dell'Autore Watteau' acquistati nel 1783 dal principe Marcantonio IV Borghese per il tramite di Antonio Asprucci (Della Pergola 1959). Tale ipotesi, condivisa dalla critica successiva (C. Stefani, in Galleria Borghese 2000; Herrmann Fiore 2006), mostra però dei punti deboli: il soggetto descritto nel documento settecentesco non sembra, infatti, coincidere con la composizione in esame, raffigurante un personaggio in costume da ballo, probabilmente una maschera della commedia dell'arte. È probabile però che a far cadere in errore l'estensore del pagamento Borghese - un tale Giacomo Rovinelli - sia stato il personaggio ritratto di spalle mentre suona un flauto che spesso ritorna nelle rappresentazioni di soggetti campestri in compagnia di personaggi della comédie italienne, come provano ad esempio alcune tele di Watteau, a cui effettivamente fu attribuito il rame.
Al di là di questa probabilissima pista, la prima informazione certa sul dipinto risale al 1833, quando il quadro è descritto nell'Inventario Fidecommissario come opera di scuola fiamminga, parere accettato da Giovanni Piancastelli (1891) e rivisto da Adolfo Venturi (1893) in favore di Nicolas Lancret, allievo al pari di Watteau di Claude Gillot. Tale nome, accettato da Roberto Longhi (1928) e solo parzialmente da Paola della Pergola (1959), è stato ripreso sia da Chiara Stefani (in Galleria Borghese 2000) che da Kristina Herrmann Fiore (Ead. 2006), assente però nella monografia sul maestro parigino di Miriam Raffaella Gaudio (Ead. 2009).
Purtroppo, lo stato alquanto modesto in cui da sempre versa l'opera impedisce di vedervi quella freschezza e quei modi tipici del Lancret, sebbene si ritenga che possa appartenere alla sua maniera.
Antonio Iommelli