La tela, di piccole dimensioni, è documentata nella collezione di Scipione Borghese a partire dall’inventario del 1633 circa, in cui è genericamente assegnata a Bassano. Segnalata poi nella guida di Manilli del 1650, in questo caso con l’attribuzione a Tiziano, gli inventari settecenteschi della raccolta la riconducono nuovamente ai Bassano. La critica, anche sulla base dell’inventario fedecommissario del 1833, ha poi individuato il nome di Jacopo, capostipite della celebre famiglia veneta, proponendo una datazione al 1576 circa e ritenendo il dipinto stilisticamente vicino al periodo dell’esecuzione di altre opere a carattere biblico-pastorale.
‘500 (con arabeschi a fondo neri) cm. 51,5 x 63,5 x 12
Roma, collezione Scipione Borghese, inventario ante 1633, n. 73 (Corradini 1998, p. 451); Inventario 1693, Stanza III, n. 28; Inventario 1700, Stanza III, n. 14; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 26, n. 7. Acquisto dello Stato, 1902.
La prima menzione dell’opera è individuabile nel cosiddetto inventario parziale di Scipione Borghese del 1633 circa in cui la tela è erroneamente descritta come una tavola: “Un quadretto in tavola una pecora con l’agnello, che poppa, cornice dorata con fogliami, alto 1 1/3 largo 1 3/4, Bassano” (Corradini 1998, n. 73). Oltre alla difformità del supporto, un’altra discrepanza tra la segnalazione inventariale e il dipinto per come si presenta nello stato attuale è rilevabile nelle dimensioni fornite, la cui larghezza è inferiore a quella reale (e la tela non è stata certamente ingrandita), tuttavia l’iconografia e l’attribuzione non lasciano dubbi sulla sua identificazione. Lo scarto dimensionale è un problema che del resto si rivela frequente alla comparazione tra le opere descritte nell’inventario suddetto e quelle certamente identificabili pervenute nella Galleria – che spesso, dalla conversione dei palmi romani in centimetri, risultano leggermente più grandi di quanto dovrebbero – ragion per cui è lecito ipotizzare che al momento della prima inventariazione delle opere del cardinale le dimensioni fossero state prese, talvolta, piuttosto sommariamente. Tale ipotesi, su cui è in corso una verifica analitica, sembra essere avvalorata dal fatto che nell’inventario fedecommissario del 1833 (p. 26, n. 7) la larghezza del dipinto risulta di “palmi 2, oncie 3½”, corrispondenti ai 51 cm effettivi della tela (e lo stesso avviene in molti altri casi in cui si può rilevare una discrepanza dimensionale).
Nella guida di Manilli (1650, p. 85) viene indicato che, in quella che oggi corrisponde alla sala VII della Galleria, il quadro “d’una pecorella, che dà il latte a un’agnellino [sic], è di Tiziano”. Con la stessa attribuzione ritroviamo l’opera nell’inventario del 1693, mentre gli inventari settecenteschi e quello fedecommissario suddetto riconducono il dipinto ai Bassano, in quest’ultimo caso indicando il nome di Giacomo (ovvero Jacopo). Se nel Novecento il parere degli studiosi in merito all’attribuzione ha oscillato tra Jacopo Bassano, capostipite della celebre famiglia di pittori, e i vari artisti della sua bottega, oggi la critica concorda con l’assegnazione a Jacopo con una datazione al 1576 circa, in linea con la sua coeva produzione a carattere biblico-pastorale. In effetti il soggetto rappresentato, una pecora che allatta il suo piccolo, è coerente anche con la cospicua produzione bassanesca in cui vengono messi in scena animali in diversi atteggiamenti, quasi trattati come soggetti autonomi, per cui sembra da scartare l’ipotesi secondo la quale la tela costituirebbe un frammento di un’opera più grande (Della Pergola 1955, p. 99), potendo ben essere stata concepita come soggetto autonomo e a sé stante.
Pier Ludovico Puddu