Il dipinto rappresenta Psiche che ascende all’Olimpo trasportata da tre amorini, gruppo figurativo mutuato da uno dei pennacchi affrescati da Raffaello e aiuti nell’omonima loggia della Villa Farnesina a Roma. Lo sfondo paesistico trova corrispondenza in un’incisione di Beatrizet databile al 1545 circa, testimonianza di una tradizione iconografica che rielabora il gruppo di Psiche in un’ambientazione naturale. Il dipinto, attestato in collezione Borghese fin dal 1693, è stato a lungo ritenuto del ferrarese Battista Dossi, ma ragioni stilistiche lo hanno successivamente ricondotto alla mano dell’olandese Lambert Van Noort.
Salvator Rosa cm.114,5 x 94,8 x 7,2
Collezione Borghese, citato nell’Inventario 1693, Stanza VI, n. 36; Inventario 1790, Stanza X, n. 22; Inventario Fidecommissario, 1833, p. 38. Acquisto dello Stato, 1902
La prima menzione del dipinto nella collezione Borghese è rintracciabile nell’inventario del 1693, dove è citato come “quadro in tavola di 4 palmi con una figura di Donna che la sollevano due Angeli con un vaso in mano […] di Raffaelle d’Urbino”. Nel successivo inventario del 1790 il soggetto viene riconosciuto essere una copia dall’Urbinate ma è descritto come “Venere sostenuta da due amorini” e assegnato al “Muratori”, mentre in quello fidecommissario del 1833 compare come “Ratto, di Raffaelle Vanni”. Con la stessa descrizione il quadro è catalogato da Piancastelli (1891, p. 274), il quale riporta anche il nome di Giovanni da Udine avanzato da Morelli in un parere orale. La corretta identificazione del soggetto come ripresa di uno dei pennacchi affrescati da Raffaello e aiuti nella loggia di Psiche nella Villa Farnesina a Roma viene riportata da Venturi (1893, p. 115), il primo a ricondurre il quadro alla scuola ferrarese, avanzando il nome di Battista Dossi. Tale attribuzione è accolta da diversi studiosi successivi (Gruyer 1897, p. 286; Gardner 1911, p. 234; Della Pergola 1955, p. 17, n. 7), mentre Longhi (1928, p. 196) si accosta al parere morelliano, proponendo un artista raffaellesco non lontano da Giovanni da Udine.
L’assegnazione del dipinto all’artista olandese Lambert Van Noort, oggi generalmente condivisa dalla critica, si deve a Dacos (1995, p. 28), la quale rileva molteplici affinità stilistiche con l’Assunta dona la cintura a San Tommaso, opera firmata dall’artista ed oggi conservata nell’oratorio della Santissima Annunziata a Ferrara (già nella chiesa di Santa Maria di Mortara). Alcuni indizi, come la firma latinizzata (“LAMBERTUS NORTENSIS FACEBAT”) e la forma centinata della pala d’altare, suggeriscono che la sua realizzazione sia avvenuta durante la permanenza italiana di Van Noort, terminata certamente entro il 1549, anno in cui l’artista è attestato ad Anversa. L’analogia tra alcuni particolari figurativi dei due quadri, come l’angelo che si affaccia a sinistra della Madonna e l’amorino che solleva Psiche sulla destra, ma anche la somiglianza dei volti femminili, stabiliscono uno stretto rapporto tra queste opere e ne suggeriscono una vicinanza cronologica. I due dipinti potrebbero essere stati realizzati entrambi a Ferrara, città a cui l’Assunta era destinata, prima della partenza di Van Noort dall’Italia (Dacos 1980, pp. 175-176; Eadem 1995, cit.; Miarelli Mariani 1996, p. 184; Mastrofini 2012, pp. 203-205).
Herrmann Fiore (2002, pp. 128-129), accogliendo la proposta attributiva di Dacos, evidenzia quanto l’antica assegnazione a Battista Dossi, già avanzata da Venturi e successivamente condivisa da diversi altri studiosi, rimanga in ogni caso significativa della vivacità degli scambi tra l’ambiente nordico e quello ferrarese nell’arte del paesaggio. Tuttavia la studiosa sottolinea come l’estrema meticolosità nella resa dei singoli dettagli naturalistici presenti nell’opera riveli chiaramente la sua appartenenza alla cultura nordica.
Un ulteriore riferimento cronologico per la tavola Borghese è rintracciabile in un’incisione di Beatrizet che riprende il gruppo di Psiche in controparte, databile intorno al 1545, in cui Ilaria Miarelli Mariani (cit., p. 182) ha individuato la fonte di derivazione utilizzata da Van Noort per l’elaborazione dell’opera. L’incisione (per cui si veda S. Massari, S. Prosperi Valenti Rodinò, Tra mito e allegoria. Immagini a stampa nel ‘500 e ‘600, Roma 1989, pp. 248-249, n. 95) è testimonianza di una tradizione iconografica che vede il gruppo derivato dalla Farnesina ambientato in un paesaggio naturale. Entrambe le composizioni presentano la medesima costruzione dello sfondo paesistico ed elementi analoghi, quali il tronco d’albero e il paesaggio classicheggiante rispettivamente alle due estremità della scena.
Il rapporto tra l’incisione e il dipinto spiega l’originalità dell’impianto compositivo di quest’ultimo che, pur derivando dall’opera raffaellesca, se ne discosta completamente. La presenza del piano terrestre, la resa di un cielo pieno di nuvole che vira sul tono del verde al posto di quello azzurro e uniforme del modello, nonché l’uso di colori più accesi, trasportano il gruppo di Psiche in una diversa atmosfera, a metà tra il naturale e il divino (Miarelli cit., p. 182; si veda anche Herrmann Fiore, cit.).
Il riferimento cronologico dell’incisione, 1545 circa, e quello del rientro in patria, 1549, suggeriscono che l’esecuzione del dipinto sia avvenuta proprio in questo giro d’anni.
Pier Ludovico Puddu