Attribuita in passato a Giorgione e Tiziano, la tela è stata avvicinata dalla critica alla maniera di Giovanni Busi, pittore di origini bergamasche, attivo in Laguna a partire dalla fine del primo decennio del Cinquecento. Il soggetto, interpretato come una scena di seduzione, rappresenta più precisamente un'allegoria dell'amore mondano o della voluttà: raffigura, infatti, un'avvenente fanciulla, oggetto dell'attenzione di una coppia di giovani elegantemente abbigliata, mentre alle sue spalle la figura di un vecchio, simbolo della vacuità delle passioni, osserva in silenzio il gesto dei due uomini.
Salvator Rosa (cm 79 x 92 x 6,8)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IV, n. 19; Della Pergola 1955); Inventario 1790, Stanza VII, n. 31; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 35. Acquisto dello Stato, 1902.
"Un quadro in tela di tre palmi in circa di altezza con 4 figure, tre homini et una Donna del n. 355 con cornice dorato del Giorgioni" (Inv. 1693). Così questo dipinto, la cui provenienza è tuttora ignota, risulta elencato nel 1693 nell'inventario di casa Borghese, descritto in tale occasione come opera di Giorgione, attribuzione rivista nel 1790 a favore di Tiziano e passata nel 1833 (Inventario Fidecommissario) come 'Scuola di Tiziano".
Poco dopo, nel 1893 Adolfo Venturi avvicinò la tela all'ambiente ferrarese, in particolare a Dosso Dossi, nome decisamente scartato da Bernard Berenson (Id. 1899) che per primo parlò del pittore di origini bergamasche Giovanni Busi detto il Cariani, pista in parte percorsa dal Bernardini (1910) e accettata senza alcuna riserva dal Troche (1934) e dal Gallina (1954).
A pensarla in maniera completamente opposta furono invece Roberto Longhi (1928), secondo cui la tela risultava una derivazione da un prototipo tizianesco realizzata intorno al 1520; Paola della Pergola (1955), che riportando l'accento sullo schema giorgionesco metteva in dubbio l'autografia sostenuta da Berenson; e infine Rodolfo Pallucchini (1966; Id. 1983). Secondo quest'ultimo, l'unico elemento vagamente carianesco sarebbe l'intonazione rossastra degli incarnati, una caratteristica che però da sola non riesce a sostenere la collocazione del dipinto nel catalogo del bergamasco.
Di certo, al di là della sua paternità, l'autore di questa composizione è da ricercare tra uno di quegli artisti attivi a Venezia intorno agli anni Venti del Cinquecento, come sembra in effetti rimarcare con tutta evidenza anche il soggetto del quadro, che tratta una tematica molto vicina all'ambiente giorgionesco, a metà strada tra una 'Susanna e i vecchioni' e una composizione di tipo allegorica.
Antonio Iommelli