Il dipinto, riconosciuto dalla critica come opera di Jacopo Zucchi, fu con buona probabilità eseguito intorno al 1585 per lo studiolo romano del cardinale Ferdinando de’ Medici che, per la decorazione della sua nuova villa pinciana, commissionò al pittore una serie di soggetti allegorici su tavola e su rame, tra cui La pesca del corallo (inv. 292).
Documentato in collezione Borghese a partire dal 1693, questo rame rappresenta un’insolita allegoria della creazione, la cui fonte ispiratrice è stata identificata nei salmi della Bibbia. Il soggetto costituisce infatti una sorta di inno alla ricchezza e alla perfezione del genere umano, creato da Dio, 'principio' e 'fine' di ogni cosa, la cui immagine è rappresentata in contrapposizione a quella di un uomo, ritratto in basso a sinistra accanto a un basamento su cui si legge “Omnia in sapientia fecisti et subiecisti sub pedibus eius”.
Con notevole maestria, Zucchi ha qui evidenziato un considerevole numero di dettagli animali e vegetali, realizzati con occhio analitico e scientifico secondo i gusti dell'epoca.
Roma, Ferdinando de' Medici; Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IX, n. 20); Inventario 1790, Stanza VI, n. 26; Inventario Fidecommissario 1833, p. 37. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo la critica, questo piccolo rame fu eseguito da Jacopo Zucchi su richiesta del cardinale Ferdinando de' Medici che incaricò il pittore di dipingere alcune opere per il suo nuovo studiolo romano. Giovanni Baglione, infatti, ricorda che l'artista dopo l'esordio e i primi lavori a Firenze si trasferì a Roma nel 1572, dove entrò in contatto con il principe di casa Medici che gli commissionò una serie di lavori, tra cui La pesca del corallo (inv. 292) e - con buona probabilità - questa raffinata allegoria.
Resta tuttora sconosciuta la sua data di ingresso presso la collezione Borghese, dove l'opera viene segnalata per la prima volta nell'inventario del 1693 come opera di Giuseppe Cesari, noto come il Cavalier d'Arpino "un quadro in rame alto al sud.o con Christallo avanti con Dio padre et una figura a sedere che regge un mappamondo con Paese et Animali del n. 362 seg.to dietro del Cav. Giuseppe d'Arpino". Tale attribuzione, rivista nel 1790 a favore di Jean Brueghel il Vecchio, fu scartata successivamente da Roberto Longhi che dal canto suo avvicinò il rame a Zucchi.
Il soggetto rappresenta una sorta di inno alla creazione, la cui fonte è stata identificata nei salmi della Bibbia. Il rame, infatti, riproduce il creato, voluto da Dio, raffigurato come un vecchio barbuto con in mano un libro su cui campeggiano la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco - l'alfa e l'omega - che rimandano all'Eterno, 'principio' e 'fine' di ogni cosa. In basso a sinistra, in un gioco di contrapposizioni, appare invece una figura maschile, identificabile come il genio umano, seduta accanto a un basamento su cui si legge “Omnia in sapientia fecisti et subiecisti sub pedibus eius”. Questa figura, ritratta nell'atto di sollevare una sfera armillare, è immersa in un paesaggio trattato alla maniera fiamminga, la cui resa lenticolare costituisce uno degli aspetti più attraenti della maestria del pittore fiorentino che qui offre un vasto catalogo di dettagli ripresi dal mondo animale e vegetale.
L'opera è stata datata dalla critica intorno al 1585, per alcune analogie con la pala raffigurante la Natività del Battista, conservata nella chiesa di San Giovanni Decollato a Roma.
Antonio Iommelli