Il dipinto faceva parte della collezione del cardinale Scipione Borghese che, probabilmente, l’acquisì direttamente dall’autore. La scena, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, è costruita sul binomio formato dai colori complementari, l’azzurro e il giallo, ed è una delle più armoniose composizioni del Cesari. L’artista si concentra sul momento del ratto, in cui la giovane Europa viene rapita da Giove che, trasformatosi in toro, prende la via del mare allontanandosi dalla riva.
‘800 (con kymation) cm 76,5 x 64,5 x 9
Collezione Scipione Borghese, ante 1633; Inventario ante 1633, n. 76 (Corradini 1998, p. 451); Inventario 1693, Stanza IX, n. 26; Inventario, 1790, Stanza IV, n. 18; Roma, collezione Pietro Camuccini, 1800-1817; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 20, n. 13. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto, di medio formato, appartenne al cardinale Scipione Borghese, il quale potrebbe averlo acquisito direttamente dall’artista (Della Pergola 1959, p. 61). Menzionato a partire dall’inventario del cardinale (già datato 1615-1630 da Corradini 1998, p. 449, oggi ritenuto dei primi anni Trenta. Si veda per esempio S. Pierguidi, “In materia totale di pitture si rivolsero al singolar Museo Borghesiano”, in “Journal of the History of Collections”, XXVI, 2014, pp. 161-170) come “Un quadro in tavola di Venere [sic] rapita da Giove in forma di toro, cornice di noce a frontespitio tocco d'oro, alto 2 1/4 largo 1 3/4, Gioseppino”, esso è presente in tutti gli inventari e guide della collezione Borghese con la corretta attribuzione al Cavalier d’Arpino (cfr. Herrmann Fiore 2005, p. 148). Alla fine del Settecento, a seguito delle vicende che portarono alla dispersione di gran parte delle raccolte romane e alla perdita di numerosi capolavori fuoriusciti dalla collezione Borghese, la tavola del Cesari fu ceduta al mercante romano Pietro Camuccini, passaggio registrato nell’inedito Stock book del mercante: “Il Ratto di Europa Originale del C. d’Arpino esisteva nella Galleria Borghese dipinto in Tavola con Cornice”. Da un’annotazione apposta successivamente si apprende che il dipinto fu ricomprato da Camillo Borghese nel secondo decennio dell’Ottocento, periodo in cui il principe tentò di reintegrare la propria raccolta colmando le lacune e i vuoti causati dalle vendite precedenti e, in questo come in altri casi, con il preciso scopo di recuperare una delle opere già facenti parte della quadreria (Puddu 2017/18, pp. 176-179, 289). La tavola è infatti ricordata in collezione nell’Itinerario di Manazzale (1817, p. 242) e viene assoggettata al vincolo fidecommissario nell’inventario del 1833.
Il soggetto dipinto dal Cavalier d’Arpino è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e fa parte di una serie di scene mitologico-erotiche sulle quali l’artista si cimentò di frequente all’inizio del Seicento (1603-06 circa, cfr. Röttgen 2002, p. 365), scene che erano ampiamente presenti – in pittura come in scultura – nella raccolta di Scipione Borghese, grande amante del concetto di paragone tra le arti. Inoltre, come notato dalla critica, questa iconografia si prestava ad una lettura moralizzata, intesa sia come un’allusione all’anima umana rapita da Cristo (Herrmann Fiore, cit.), sia come monito per le fanciulle a non esporsi ai rischi di luoghi isolati (Tosini 1996, p. 212).
Per quanto riguarda la composizione, l’artista si discosta in parte dalla tradizione figurativa aggiungendo tra le nuvole del cielo Amore che cavalca un’aquila, attributo di Giove, intento ad osservare la scena in primo piano, dove il dio nelle sembianze di un toro sta rapendo Europa trasportandola in mare aperto. L’atipica presenza dell’aquila potrebbe suggerire un’allusione all’arme di casa Borghese e indurre ad ipotizzare che il dipinto derivi da una commissione diretta all’artista da parte del cardinale Scipione (Herrmann Fiore, cit.). Altro elemento a supporto della precedente ipotesi è l’analogia tra le figure in riva al mare, e il pathos che esse esprimono, con quelle di un rilievo marmoreo del Ratto di Europa, oggi irrintracciabile ma noto tramite un disegno del codice Topham del College di Eton. Il rilievo, inserito intorno al 1620 nella facciata nord di Villa Borghese e verosimilmente già in possesso del cardinale a partire dal primo decennio del Seicento, indubbiamente dialoga con il quadro del Cavalier d’Arpino ma, stante la difficoltà già riscontrata da Winckelmann nel qualificarlo come creazione antica oppure moderna, non è possibile precisare quale delle due opere abbia avuto influsso sull’altra (cfr. Herrmann Fiore, cit.). Quanto al paesaggio costiero dipinto dal Cesari, con erbe, onde e giochi di luce, si ravvisano influssi della pittura di Paul Bril, sulla quale l’artista ha lungamente meditato come ampiamente riscontrabile in certe sue composizioni (Röttgen, cit.).
Pier Ludovico Puddu